Pesche ripiene PAT

Prodotto Agroalimentare Tradizionale del PIEMONTE

Le pesche ripiene, in piemontese “persi pien” sono un dolce non facilmente classificabile; si presentano come delle mezze pesche rovesciate con il taglio verso l’alto, al centro delle quali, in corrispondenza dell’incavo lasciato dal nocciolo, è stato posato il ripieno, scuro per la presenza di cacao. L’incavo centrale è di solito volutamente ampliato, asportando un po’ della polpa e utilizzandola per il ripieno stesso. Il tutto è servito dopo cottura in forno, e si consumano di preferenza tiepide. Le pesche ripiene sono un dolce povero, prodotto con ingredienti semplici e facilmente reperibili in stagione opportuna.

Oltre alle pesche sono sempre presenti amaretti, cacao e zucchero; nelle versioni più ricche e recenti non mancano uova e burro, a volte si trovano nel ripieno nocciole, rhum o moscato. Le pesche utilizzate nelle ricette originarie erano le cosiddette “pesche di vigna”, piccole pesche che risultavano un poco asprigne per il consumo tal quale, e di cui c’era abbondanza poiché questi peschi erano piantati ai due capi dei filari di vite. La componente amara, nelle ricette più antiche, si otteneva tritando il seme contenuto nei noccioli delle pesche, ora sostituiti dagli amaretti. Il dolce si è, quindi, sviluppato nelle campagne dove erano presenti le pesche di vigna, e quindi nelle zone vitate, presenti notoriamente in quasi tutto il Piemonte. Attualmente si preparano anche con normali pesche a pasta gialla o bianca. Si preparano direttamente nelle teglie da forno, da cui sono prelevate per essere impiattate. Sono un prodotto che conserva una stagionalità molto marcata.

  • Consistenza: disomogenea e densa, compatta ma morbida la pesca cotta, denso e morbido il ripieno, con una crosta superficiale.
  • Colore: di cioccolato più o meno chiaro.
  • Sapore: dolce, di cacao e amaretto.

Metodiche di lavorazione

Poiché le varianti di preparazione delle pesche ripiene sono moltissime, anche se in fondo poco significative, riportiamo qui la ricetta di Camillo Brero, tratta dal suo ricettario e opportunamente tradotta dal piemontese:
“Tagliate a metà sei pesche grosse, non troppe mature; togliete l’osso e un po’ di polpa. La polpa levata, mettetela in una fondina insieme alla polpa di un’altra pesca, schiacciate bene con una forchetta fino a farne una pasta. Aggiungete quattro cucchiai di zucchero, un etto di amaretti sbriciolati, trenta grammi di burro, un cucchiaio di cacao e un rosso d’uovo. Rimestate tutto e riempite le pesche con la pasta ottenuta. Imburrate un piatto da forno, disponete le pesche ripiene e lasciate cuocere per 30-40 minuti (secondo la qualità delle pesche). Togliete dal forno e lasciate raffreddare. Si può guarnire con panna e zucchero.”

Ricordiamo inoltre che su può spruzzare di vino o un poco di liquore le pesche durante la cottura, così come a piacere si possono aggiungere cannella, noce moscata, macis o garofano.

ZONA DI PRODUZIONE

Le pesche ripiene si producono sull’intero territorio piemontese.

TRADIZIONALITÀ

La ricetta delle pesche ripiene nella cucina italiana è vecchia quanto le pesche stesse. Questo piatto nasce quasi sicuramente dall’esigenza di consumare con un po’ di zucchero le abbondanti, ma aspre, pesche di vigna, e da sempre in Piemonte si usa il seme del nocciolo di pesca come amaricante per cucinare o per produrre liquori. Col tempo e con il cambiare delle disponibilità economiche il piatto si arricchisce di amaretti, cacao, burro e uova.

Le codifiche del prodotto riguardano già l’Artusi, nel suo “la scienza in cucina” del 1891, senza la presenza degli amaretti. La presenza in Piemonte però data da anteriormente, almeno da quando il Vialardi, cuoco piemontese, nel 1854 ne dà una versione senza il cacao, ma con la cannella. Sono però già presenti gli amaretti. Da allora i ricettari hanno sempre riportato questa semplice ricetta, con variazioni e arricchimenti che non hanno mai snaturato l’idea originaria alla base del dolce.

Esistono, in tutto il Piemonte, sagre e feste che celebrano questo piatto. È notevole come, negli anni, il nome si sia mantenuto con il semplice aggettivo, e non esista un termine per definire questo immancabile dolce di fine estate, se non le varie versioni del piemontese “persi pien”.

Bibliografia

  • Giovanni Vialardi, Trattato Di Cucina, Pasticceria Moderna Credenza e Relativa Confettureria, Tip. G. Favale, Torino, 1854, ristampa: Arnaldo Forni, Sala Bolognese, 1986.
  • Giovanni Vialardi, Cucina Borghese, Semplice Ed Economica, L. Roux, Torino, 1890.
  • P. Artusi, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, Landi, Firenze, 1891.
  • Anonimo, Il Re Dei Cuochi, Salani Ed. 1905.
  • C. Brero, Arsetari dla cusin-a piemonteisa, Piemonte in bancarella, Torino 1978.
  • E. Schena – A. Ravera, La Cucina Di Madonna Lesina, L’Arciere, Cuneo, 1994.
  • Giancarlo Ricatto (a cura di), I Dolci E Le Confetture Piemontesi, Editrice Artistica Piemontese, 2003.
  • AAVV, 365 volte Piemonte a tavola, Ed. “il Punto”, 2010.

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