Fave dei morti PAT Emilia Romagna

Prodotto Agroalimentare Tradizionale dell’Emilia Romagna

fave dolci, favette

Dolcetti a base di mandorle, pinoli, farina, uova, zucchero. Si tritano insieme, fino a ridurli in fine granella, le mandorle già spellate, i pinoli e alcune mandorle amare (una volta si usavano i gherigli delle pesche). Al composto si uniscono poi, amalgamando con molta cura, le chiare d’uovo, la farina, lo zucchero, e, a piacere, anche un po’ di lievito per dolci.

Con una tasca a bocca larga o aiutandosi con due cucchiaini, se ne depositano dei monticelli grossi come una noce sulla placca da forno imburrata (va molto bene anche la carta da forno), si imbiancano con una leggera spolverata di zucchero a velo, si mandano in forno già caldo a 150 °C per 15-20 minuti al massimo (durante la cottura le fave gonfiano, perciò occorre lasciare un po’ di spazio tra di loro. Sono pronte quando, già dorate in superficie, si staccheranno facilmente dalla placca imburrata o dalla carta.

La versione riminese prevede l’ottenimento di una pasta morbida e compatta che viene manipolata in cordoni, dello spessore di un dito, che vengono tagliati in pezzetti della misura di un acino di fava e appiattiti con la lama del coltello.

Tradizionalità

Un tempo, forse retaggio di un’offerta rituale, erano una consuetudine ai primi di novembre, e si preparavano con molta pazienza per offrirle ai parenti che, nella ricorrenza dei morti, facevano visita a casa. Questi dolci di pasta di mandorle sono evocativi del frutto, le fave per l’appunto, che erano considerate come nutrimento dei “lemuresì” ovvero le anime dei morti, nella festività romana dei “Lemuria”.

Referenze bibliografiche

  • Contoli, “Guida alla veritiera cucina romagnola“, Officine Grafiche Calderini, 1972;
  • Giovanni Manzoni, “Così si mangiava in Romagna”, Walberti Edizioni 1977.

Territorio di produzione

Le provincie di Forlì- Cesena e Rimini.

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