Prodotto Agroalimentare Tradizionale del Friuli Venezia Giulia
- Albero Vigore: medio. Portamento: eretto-espanso con chioma ombrelliforme.
- Corteccia del tronco: profondamente solcata longitudinalmente.
- Rami: internodi lunghi, corteccia liscia di colore verde scuro con fini costolature più pronunciate nel terzo distale del ramo; lenticelle piuttosto serrate e di dimensioni variabili; gemme di forma subconica e di colore verde-giallastro.
- Foglie: lanceolate, medio-grandi (l = 18 cm, l = 6,5 cm) con base a graffa, apice appuntito, margine seghettato, dentatura piuttosto serrata, con i rispettivi denti che si prolungano in un corto filamento; lembo ondulato, pagina superiore verde scura, mentre quella inferiore più chiara, con tomentosità ridotta e nervature molto evidenti; picciolo medio-corto. Epoca germogliamento: intermedia, I decade di maggio.
Frutto
- Pezzatura: medio-grossa (h = 29,5 mm, l = 35,5 mm, sp = 22,9 mm, peso medio = 14 g), uno o due frutti per riccio, raramente tre.
- Forma: ellittico-rotonda, con apice appuntito e base arrotondata leggermente concava.
- Pericarpo: di colore marrone scuro con striature più scure e alquanto distanziate tra loro.
- Cicatrice ilare: di grandi dimensioni (h = 12,5 mm, l =23 mm)
- Seme: episperma: abbastanza spesso, aderente; solcature: penetrano nella massa cotiledonare; plurispermia: assente.
Le lavorazioni atte alla raccolta hanno inizio alla metà di settembre con lo sfalcio del cotico erboso del castagneto. Il fieno che ne deriva viene poi raccolto e ammassato in grossi mucchi in disparte al fine di ottenere una superficie di raccolta sotto i castagni il più uniforme possibile. Con i primi giorni di ottobre inizia la cascola dei ricci bacati dagli insetti carpofagi, che vengono destinati alla distruzione con la bruciatura degli stessi. La raccolta da terra del prodotto (marroni) viene fatta attraverso l’utilizzo di appositi attrezzi manuali moderni e con l’uso di tradizionali ceste in vimini e sacchi di juta. Il raccolto viene poi selezionato in un locale apposito per eliminare i frutti non idonei e infine disposto in locali freschi, aerati e lontano dalla luce diretta del sole, nei quali il prodotto viene rigirato quotidianamente grazie all’uso di rastrelli e di tradizionali sessole di legno. Inoltre, settimanalmente viene effettuata una veloce pulizia del sottobosco per eliminare i ricci vuoti, mentre, a fine stagione, si procede ad una più accurata ripulitura.
Tradizionalità
Il nome di questa cultivar, e quindi quello del relativo frutto (marrone), deriva dalla valle del Landre a Mezzomonte di Polcenigo, indicando la sua antica presenza in zona e il suo forte legame con il territorio. Al pari di altre varietà coltivate nella stessa zona, ha trovato ottimali condizioni pedoclimatiche nella fascia prealpina in esame, grazie all’adeguata altitudine, alla buona esposizione al sole e al terreno sub-acido, fattori che permettono alle piante di castagno di vegetare in modo ottimale e di fornire buone produzioni sia in termini quantitativi che qualitativi.
La presenza del castagno nel passato risultò molto importante per le popolazioni della zona, le quali trovarono nei frutti una importante fonte di amidi, grassi, proteine, sali minerali e vitamine, tanto che le castagne e i marroni furono designati con l’appellativo di “pane dei poveri”, dati i loro molteplici impieghi compresa la trasformazione in farina. Al giorno d’oggi questa pratica in loco è ormai caduta in disuso. Le importanti dimensioni di alcuni castagni ultracentenari, le testimonianze orali degli anziani, le fotografie storiche, la toponomastica e le fonti bibliografiche antiche (a partire dal XIII secolo) (Fadelli, 2014), confermano la coltivazione secolare del castagno nelle zone prealpine del Friuli occidentale.
Memorie degli anziani
Sono ancora vive nella memoria degli anziani di Mezzomonte e dintorni le persone, soprattutto donne, che fin dopo la seconda guerra mondiale scendevano al piano con le castagne e i marroni che venivano venduti o barattati con fagioli, farina di mais o di frumento (Fadelli, 2014). Le tecniche di allevamento del castagno, tramandate di generazione in generazione, si stanno lentamente modificando, grazie all’utilizzo della piccola meccanizzazione, rendendo così meno gravoso il duro lavoro dei produttori nelle varie fasi di lavorazione. L’importanza storica della castanicoltura nella pedemontana Pordenonese è attestata dalla tradizionale “Sagra della Castagna di Mezzomonte”, a Ottobre, che nel 2016 è giunta alla 31° edizione. Infine, si è proceduto a raccogliere la dichiarazione (in forma di autocertificazione) di due cittadini che affermano di aver partecipato alla produzione del prodotto, di aver assistito alla produzione dello stesso, averlo consumato, aver assunto informazioni su questo particolare tipo di marrone prima del 1992:
- sig. Matteo Donadel, Polcenigo (PN) (classe 1955), castanicoltore;
- sig. Giuseppe Rossitto, Polcenigo (PN) (classe 1945), castanicoltore.
Territorio di produzione: Gli esemplari di questa varietà di castagno sono diffusi sotto forma di popolamenti quasi puri o di singoli alberi soprattutto nel comune di Polcenigo (PN), in particolare nella Valle del Landre e a Mezzomonte. Se ne trovano però anche nei comuni limitrofi di Caneva e Budoia, grazie probabilmente agli scambi di materiale d’innesto avvenuti in passato. Sono presenti per lo più in una fascia altitudinale compresa fra 250 e 400 m s.l.m.
Pindulis PAT Friuli Venezia Giulia
Storicamente comunque l’allevamento delle specie ovicaprine era molto diffuso in Valle e tale metodo di conservazione della carne veniva regolarmente utilizzato. E’ riportato riferimento dell’esistenza antica di questo prodotto nel libro di S. Nievo, “La Foresta di Tarvisio”, A. Pizzi Spa Cinisello Balsamo 1986 (pag. 195 rif. affumicatoio di Malborghetto).