Registro nazionale dei paesaggi rurali storici del MIPAAF
Regione: SICILIA
L’isola di Pantelleria si sviluppa su una superficie di 8.453 ettari, collocati al centro del canale di Sicilia, sul rift che divide il continente africano da quello europeo. Il 71,1% della superficie totale dell’isola è coperta da terrazzamenti, 5.899 ettari modellati dall’opera dell’uomo a testimonianza di un lungo utilizzo di questa terra ostile, dominata dalle irrequietezze del vulcano, dalla mancanza di fonti d’acqua, dalla presenza quasi costante del vento.
La significatività del paesaggio della pietra a secco dell’Isola di Pantelleria è strettamente legata al secolare impegno dell’agricoltura pantesca che ha utilizzato tecniche di coltivazione specifiche per rispondere ai limiti ambientali, alla necessità di risparmio idrico e alla protezione delle piante dai frequenti e intensi venti dominanti.
Nel corso dei secoli la pratica agricola ha scolpito un paesaggio unico, modellando sulla lava e sulla poca terra un mosaico agrario di colture tradizionali non irrigue protette da muri in pietra a secco e terrazzamenti, “di straordinario fascino estetico e di grande impatto scenico” [Agnoletti, 2010].
Lo studio dei reperti archeologici rintracciati in diverse parti dell’Isola ha dimostrato l’esistenza di un’antica civiltà risalente all’età del bronzo, già dedita all’agricoltura, all’allevamento, alla caccia e alla pesca sotto costa. L’attenzione verso le risorse agricole già nelle popolazioni del V sec. a.c. è confermata dalla posizione degli abitati, che lasciavano liberi i terreni più fertili prospicienti. Terreni che, presumibilmente, subirono proprio in quest’epoca l’intervento dell’uomo verso le prime forme di terrazzamento per regolare i drenaggi e controllare la massa di terra adatta alle coltivazioni.
A partire dall’età del bronzo, dunque, sull’isola di Pantelleria ha inizio un lavoro capillare di spietramento, costruzione di terrazzi e sistemazione del sedimento disponibile, in grado di avviare il sistema di produzione agricola e tale da costruire, nei secoli, il paesaggio antropizzato che oggi siamo in grado di ammirare.
Paesaggio culturale come testimonianza
Esso è un paesaggio culturale, è la testimonianza unica e irriproducibile della risposta di un gruppo di uomini che testardamente hanno scelto di abitare un luogo per vantaggio di posizione (il centro del Mediterraneo per l’appunto) nonostante esso fosse un “desertus et asperrimus locus”, così come fu descritto da Seneca, “sterile, sferzato dalle onde del mare libico”, nelle parole di Ovidio.
Su questo suolo arido e sulle lave dalle forme “infernali” il “sudore di millenni” ha dato forma al paesaggio rurale pantesco. Niente è più sereno e raccolto di queste lente pendici corse da muretti, come se questi muretti realizzassero le curve di livello, e dentro i muretti, a riparo dai venti, le viti con le zocche gonfie di zibibbo come mammelle verdi.
Niente è più ameno di queste casette o rosa o bianche o anche nere, ma con le cupolette affioranti, sempre in ordine sparso, anche dove fanno paese ma non si ammucchiano, e ognuna respira da tutte le parti e ha il gelso affianco, la palma, la pergola: oppure una specie di nurago, e invece non è che un muro tondo e inclinato a tronco di cono, dove, nell’interno sta chiuso, come il minotauro nel labirinto, un limone o un arancio.
Qui dove tutto è naturale e nello stesso tempo è artificiale, dove la terra, la poca terra, è rastrellata da sotto i massi, liberata da questi massi, che non sono le leggere pietre bianche della Puglia, ma blocchi pesanti di lava, di basalto, di ossidiana.
E se ne fanno quelli che ho chiamato muretti, che sembrano muretti, da lontano, e quando si vedono da vicino appaiono come bastioni, al cui riparo le viti maturano, e i capperi fioriscono con quei fiocchi di luce ancora più aerei dei fiori di papaveri. Che cosa è costata di sudore e d’amore, questa campagna; e poi dopo la guerra ha conosciuto la fillossera e dovette essere ripiantata, ancora si ripianta con le viti americane, a cinquanta barbatelle per anno.
Una zona stupenda che sta tra il giardino giapponese e il paesaggio di Poussin. Mi spiego: del giardino giapponese ha le rocce usate come personaggio principale e le piante come personaggio secondario. E in più le piante sono domate per sfuggire alla furia distruttiva dei venti, domate in modo che gli ulivi, come già ricordava Edrisi, non sono mica in piedi, ma distesi, coi loro vecchi tronchi rugosi, obbligati a serpeggiare per terra, sicché le chiome cariche di olive sembrano cespugli e io li avevo presi per ulivastri, per macchia mediterranea. Invece sono olivi domestici dalle rosse olive e si acquattano al riparo…
C. Brandi, 1989
Il paesaggio rurale storico di Pantelleria è definito da soluzioni tecniche di assoluta originalità: la pietra, che è protagonista del paesaggio naturale, si trasforma di volta in volta in rifugio per gli uomini (nel caso del dammuso), per gli alberi (nel caso del giardino), per la biodiversità (nel caso dei terrazzamenti).
I segni delle dominazioni del passato (Fenici, Romani, Arabi etc.) emergono nei nomi delle contrade(Kania-Tracino-Kamma,Mueggen, Bugeber,Monastero,Scauri) così come nella particolarità delle coltivazioni (cotone, olive, capperi, fichi e uva). Ogni epoca ha trasformato in parte il paesaggio pantesco, mantenendo però centrale il ruolo dell’agricoltura nelle dinamiche sociali ed economiche dell’isola.
Con la pietra e con l’uso di pochi altri materiali (il tufo e la calce) è stato ‘costruito’ il paesaggio rurale storico, utilizzando forme elementari, geometrie semplici e compatte, un paesaggio quasi bicromatico, nero e verde, uno spazio arcaico ed essenziale, profondamente mediterraneo. E in più, le piante sono domate, per sfuggire alla furia distruttiva dei venti, domate in modo che gli ulivi non sono mica in piedi, ma distesi, coi loro vecchi tronchi rugosi, obbligati a serpeggiare per terra sicchè le chiome cariche di olive sembrano cespugli. C. Brandi, 1989
Le coltivazioni pantesche appaiono anch’esse modellate dalle estreme condizioni ambientali. La coltura più diffusa è la vite, nella forma dell’alberello pantesco, coltivata in conche profonde circa 20 cm, utili per accumulare l’acqua piovana e proteggere i grappoli dal vento.
Nel 2014 l’Unesco ha riconosciuto l’importanza e l’unicità della pratica agricola della “vite ad alberello della Comunità di Pantelleria” iscrivendola nella Lista del Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Accanto alla vite, si evidenzia la presenza di un’agricoltura eroica in senso lato, che vede i contadini coltivare, potare, raccogliere costantemente chinati al suolo.
Così come la vite, infatti, anche gli olivi sono potati in modo da assumere forme molto basse con le branche adagiate al suolo mentre i capperi, che qui si trovano eccezionalmente in coltura specializzata su terrazzamenti, aderiscono naturalmente alla terra.
Il risultato è un’agricoltura pantesca, praticata tutt’oggi anche sui versanti più impervi, che obbliga i contadini ad un prolungato inchino durante tutte le lavorazioni, ad una cura costante della terra e della natura, alla pratica della pazienza e alla rassegnazione alla fatica.
Per le caratteristiche di questa secolare attività agricola, per le peculiarità geografiche e climatiche dell’Isola, per la fragilità intrinseca di tale sistema economico, paesaggistico e sociale, si ritiene di particolare importanza l’iscrizione del “Paesaggio della pietra a secco di Pantelleria” all’interno del Registro Nazionale dei Paesaggi rurali storici, al fine di promuovere la tradizione rurale locale, favorire lo sviluppo di un turismo culturale d’eccellenza che possa rendere economicamente sostenibile il mantenimento di tali pratiche agricole.
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