Risi tradizionali PAT

Prodotto Agroalimentare Tradizionale del PIEMONTE

Nell’arco di oltre sei secoli, la coltivazione del riso (Orhyza Sativa) in Italia, e in particolare della sottospecie japonica, ha permesso la selezione di oltre un centinaio di cultivar (o varietà) con caratteristiche fisiche, chimiche e organolettiche proprie, frutto dello stretto legame con il clima e il territorio di produzione.

Allo stesso tempo, le cucine regionali italiane hanno contribuito alla diffusione delle principali varietà di riso presso i consumatori, grazie alla versatilità delle cultivar e alla molteplicità di piatti che con queste si possono preparare. Il riso (o, come sarebbe meglio dire, i risi) è così diventato un alimento tipico italiano; molti piatti regionali sono ormai considerati “classici” e sono rinomati in tutto il mondo, a dimostrazione del “modo italiano” di cucinare e consumare il prodotto.

Peraltro, nelle zone di produzione, nonostante la sempre maggior diffusione di altri “stili alimentari”, il riso rimane alla base dell’alimentazione delle popolazioni locali. Non solo: nel tempo, la coltivazione del riso ha profondamente condizionato la vita sociale, le tradizioni, i paesaggi e i territori, dando origine ad una vera e propria “civiltà risicola” costituita da un insieme di fenomeni strettamente legati alla storia e alla cultura italiana e, in particolare, del Piemonte (basti citare, a titolo di esempio, le “mondine”, le “grange”, la meccanizzazione agricola fortemente specializzata e, ancora, l’esclusivo sistema irriguo voluto da Camillo Benso Conte di Cavour).

L’aspetto attuale del territorio risicolo piemontese è il risultato dell’evoluzione storica che, in particolare negli ultimi due secoli, lo ha portato ad assumere l’aspetto inconfondibile che oggi tutti conosciamo. La risicoltura, intesa come vero e proprio fenomeno agricolo, prese avvio nel XV secolo partendo dalla Lomellina e da qui si espanse rapidamente in territorio piemontese sia verso nord (nel novarese) sia verso ovest (nel vercellese, nel biellese e nell’alessandrino).

La tradizione fa risalire ai monaci Cistercensi dell’abbazia di Lucedio (provenienti dal monastero francese di La Fertè) il merito di aver introdotto e diffuso la coltura del riso in Piemonte, che venne attuata inizialmente soltanto nei terreni paludosi e nelle zone umide, dove mal si adattava la messa a dimora delle altre colture al tempo praticate. Furono proprio i monaci di Lucedio, nella prima metà del XII secolo, a bonificare i molti terreni disponibili e a metterli a coltivo, prima in alternanza con gli altri cereali e, in seguito, in modo sempre più specializzato. La superficie coltivata a riso ebbe quindi una crescita limitata ma continua fino al XVIII secolo; la vera svolta si ebbe a partire dalla seconda metà del XIX secolo, con la realizzazione del canale Cavour e con la creazione del sistema irriguo tipico delle risaie piemontesi e lombarde che, ancora oggi, costituisce l’elemento caratteristico di un paesaggio agricolo unico al mondo.

Questa “civiltà risicola” si è dunque sviluppata in un territorio notevolmente antropizzato, con caratteristiche pedologiche e climatiche favorevoli alla coltivazione del riso, pur situandosi alla latitudine più elevata per questa pianta di origine tropicale. Le varietà selezionate nel tempo, per le relative caratteristiche, contraddistinguono il “riso italiano” dai risi japonica (e dalle altre sottospecie) prodotti in altri climi e in altre condizioni ambientali e sociali. Nell’ambito delle cultivar italiane si evidenziano le varietà consolidate dalla tradizione, sia produttiva che gastronomica, la cui “storicità” si rileva anche dai documenti e dalle statistiche ufficiali conservati presso l’Ente Nazionale Risi. Queste varietà vengono comunemente dette “tradizionali” o “storiche” e, tra quelle ancora più o meno diffusamente coltivate e impiegate in cucina, pare opportuno evidenziarne nove, tutte appartenenti alla subspecie Orhyza sativa japonica: Arborio, Baldo, Balilla, Carnaroli, Gigante Vercelli, Maratelli, Razza 77, Sant’Andrea, Vialone Nano.

Esse rappresentano pertanto i risi che la Regione Piemonte riconosce come tradizionali ai sensi del Decreto ministeriale 8 settembre 1999, n. 350.
Arborio (lungo A) Varietà caratterizzata dal basso contenuto di amilosio, è una delle principali varietà da risotto poiché vanta un chicco molto grande e perlato. Fu selezionata nel 1946 da Domenico Marchetti, agronomo e risicoltore, nel paese della provincia di Vercelli da cui ha preso il nome, Arborio, ed è presto divenuta una delle varietà presenti in tutte le diverse cucine regionali d’Italia. E’ stato per anni il riso più diffuso nella Pianura padana ma, col tempo, la sua coltivazione è via via diminuita a causa della scarsa capacità produttiva rispetto a varietà più “nuove” e della sensibilità della pianta alle malattie. Baldo (lungo A)

Tra le varietà “storiche” del riso italiano, Baldo è certamente la più recente, poiché la sua selezione è avvenuta nel 1964 a Vercelli, presso la Stazione Sperimentale di Risicoltura, anche se i primi dati certi attestanti una significativa diffusione risalgono al 1966. La varietà, per le sue caratteristiche agronomiche, ma anche per la versatilità di utilizzo in cucina, ha incontrato fin da subito il favore di risicoltori e consumatori. Caratterizzato dal colore cristallino del chicco, totalmente privo di perla, è estremamente versatile in cucina e con un’ottima tenuta in cottura; si presta alla preparazione di ottimi risotti e di quasi tutti i piatti della tradizione italiana a base di riso.

Balilla (Tondo) E’ la più antica tra le varietà “storiche” ancora coltivate: le prime informazioni in merito alla sua selezione risalgono infatti al 1924 e, grazie alle sue caratteristiche organolettiche particolarmente interessanti per l’industria di trasformazione, la coltivazione permane tutt’oggi nonostante la varietà presenti una produttività inferiore rispetto ad altri risi “tondi”. Può essere anche (erroneamente) indicata come “Originario”, dal nome della varietà ormai quasi del tutto scomparsa della quale Balilla aveva, a suo tempo, preso il posto, mantenendone tuttavia le principali caratteristiche. Oltre all’impiego industriale (fiocchi, riso soffiato, gallette, bevande, creme, ecc.), in cucina è la varietà ideale per dolci tradizionali, minestre e timballi, in ragione della scarsa tenuta in cottura e della “collosità” che ne deriva.

Carnaroli (lungo A) Molto amata dagli chef, in ragione dell’ottima tenuta in cottura e delle eccezionali qualità gastronomiche, è una delle varietà storiche che più rappresenta il riso italiano nel mondo. E’ stata selezionata nel 1945 a Paullo, nel milanese, grazie alla caparbietà di Ettore De Vecchi, che impiegò molti anni e fece numerosi incroci e tentativi per ottenere un chicco perfetto per il risotto; esso è infatti grosso e perlato, con alto contenuto in amilosio e pertanto particolarmente consistente. Progressivamente affermatosi come prodotto d’eccellenza a partire dalla fine degli anni ottanta del ‘900, rappresenta ancora oggi uno dei simboli del Made in Italy agroalimentare. Nel 1983 Carnaroli fu ceduta all’Ente Nazionale Risi, per garantirne la conservazione in purezza.

Gigante Vercelli (lungo A) E’ un’altra delle varietà storiche particolarmente pregiate, recuperata in purezza e riportata alla coltivazione. Selezionata nel 1946, divenne ben presto una delle più coltivate nel vercellese, per essere poi abbandonata alla fine degli anni ‘70 a favore di varietà più produttive e di più facile lavorazione. Ma la sua naturale ed esclusiva resistenza al brusone (grave malattia fungina del riso), è stata forse il principale motivo che ne ha determinato il recupero e la coltivazione, che può essere pertanto attuata senza l’uso di fungicidi. Inoltre, Gigante Vercelli presenta un’ottima adattabilità di sviluppo alle basse temperature e una crescita rapida. Grazie alle spiccate caratteristiche organolettiche, all’elevato contenuto in amido resistente e all’ottima tenuta in cottura, è un riso ideale per la preparazione di risotti oltre che, storicamente, per la panissa vercellese.

Maratelli (Medio) E’ una delle eccellenze storiche della risicoltura italiana, derivante da un’ibridazione naturale della varietà Chinese Originario scoperta e selezionata nel 1914 da Mario Maratelli, nel suo paese di origine, Asigliano, in provincia di Vercelli. Proprio nei terreni della “bassa” vercellese, tale varietà ha trovato la sua terra di elezione, diventando in pochi anni una delle varietà più coltivate. Grazie alla tenuta in cottura e alla capacità di assorbimento dei sapori, tra gli anni ‘60 e ‘70 del ‘900 è stata infatti una delle varietà più apprezzate dalle famiglie italiane, sia per la preparazione di risotti che di altri piatti della tradizione; la sua coltivazione venne tuttavia in seguito progressivamente abbandonata a favore di varietà più produttive. E’ un riso di facile digeribilità, particolarmente adatto per l’alimentazione dei più piccoli.

Razza 77 (lungo A) Fu selezionato a Bologna nel 1938 presso l’Istituto di Allevamento Vegetale per la Cerealicoltura e la sua coltivazione ebbe pieno sviluppo negli anni ‘50 del ‘900. La produzione venne abbandonata in seguito, principalmente a causa delle difficoltà di coltivazione dovute alla tendenza della pianta, di taglia molto alta, ad “allettarsi” (piegarsi a terra sotto il peso della pannocchia matura), compromettendo il raccolto. Considerata però l’alta qualità del prodotto, anche questa varietà è stata recuperata, grazie alle moderne tecniche agricole che consentono di ridurre al minimo i rischi legati alla coltivazione. Le caratteristiche organolettiche ne fanno una varietà di pregio, ideale per la preparazione di risotti.

Sant’Andrea (lungo A) Prende il nome dalla Basilica di Sant’Andrea, a Vercelli, e le prime notizie sulla sua coltivazione risalgono al 1966, anche se la varietà ha conosciuto pieno sviluppo a partire dai primi anni ‘70, quando è stata seminata nelle risaie ricavate dalla bonifica delle “baragge”, ossia delle zone della pianura Padana piemontese ai piedi delle prealpi e appena a nord della linea delle risorgive. Sant’Andrea si è infatti rivelata particolarmente adatta ad ambientarsi in quella zona più fredda e meno fertile rispetto ad altre della pianura. L’autentica tipicità della varietà la rende estremamente adatta alla preparazione di risotti e del piatto vercellese per eccellenza, la panissa, oltre ad altri piatti della tradizione, minestre in particolare.

Vialone Nano (Medio*) Questa varietà è assai antica (le prime notizie risalgono alla fine degli anni trenta), tuttavia la sua coltivazione è uscita dai confini delle province di Mantova e Verona (terra di originaria diffusione), per adattarsi a tutte le zone della pianura Padana, soltanto nel corso degli anni ‘60 del XX secolo. Il chicco, dall’eccezionale tenuta in cottura, deriva dalla più celebre varietà “Vialone Nero”, ormai scomparsa, di grande livello qualitativo tra i risi italiani, e ne conserva molte caratteristiche che ne fanno un riso ideale per risotti e altre preparazioni a base di riso. Il nome deriva dal paese di Sant’Alessio con Vialone, nel pavese. Di facile digeribilità, Vialone Nano è particolarmente adatta per l’alimentazione dei più piccoli.

ZONA DI PRODUZIONE

La coltivazione, la lavorazione e il confezionamento delle varietà tradizionali o storiche sopra citate avvengono, a livello nazionale, lungo la cosiddetta Valle del Po, vale a dire a nord e sud della fascia di Pianura Padana che segue il corso del grande fiume e che comprende le regioni Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Per quanto riguarda il Piemonte, coltivazione, lavorazione e confezionamento avvengono prevalentemente nell’area di pianura delle province di Vercelli e Novara e, in misura minore, in quella di Alessandria e Biella, oltre ad una piccola zona di produzione a Bra, in provincia di Cuneo.

TRADIZIONALITÀ

La coltivazione del riso in pianura padana risale alla seconda metà del XV secolo. Nel corso di oltre cinquecento anni la coltivazione di questo cereale è diventata una delle principali attività agricole dell’intera zona e quella che più profondamente ne ha modificato paesaggio, insediamenti umani, organizzazione del territorio, cultura, stili di vita e abitudini alimentari.

La storicità della coltivazione e delle metodiche di lavorazione dei risi nel tempo risultano dagli atti in possesso dell’Ente Nazionali Risi (www.enterisi.it) e dalle numerose fonti letterarie pubblicate in merito (si citano, tra tutte, le pubblicazioni dell’agronomo Dott. Antonio Tinarelli, massimo esperto italiano in materia di risicoltura e coltivazione del riso). Le metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura, pur rimanendo storicamente invariate nei principi e nelle fasi fondamentali, seguono l’evoluzione tecnologica dei macchinari e delle attrezzature all’uopo sviluppate.

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