Il ruolo della politica agricola per la tutela degli impollinatori

Come risulta dai Censimenti agricoli (ISTAT) e da un gran numero di studi indipendenti, l’agricoltura italiana ha subito un profondo processo di trasformazione e un lento e non lineare percorso di ammodernamento delle aziende. Il processo di modernizzazione del secolo scorso e del primo decennio dell’attuale ha generato l’esodo dalle aree rurali e cambiamenti strutturali interni alla filiera produttiva.

L’evoluzione ha coinciso con il processo di trasformazione del sistema socioeconomico italiano, con un rapido passaggio da una società prevalentemente rurale ad una industriale e post-industriale, dando origine ad un calo nel numero delle aziende agricole e nell’estensione della superficie agricola utilizzata SAU. Parallelamente la superficie forestale si è pressoché raddoppiata, superando per estensione la stessa SAU.

Come rilevato da un rapporto ISPRA del 2020, lo stato di salute degli habitat agricoli di interesse comunitario è in progressivo peggioramento mentre l’abbandono agricolo e il conseguente processo di rivegetazione, di ricolonizzazione e di riforestazione introducono maggiori rischi di incendi o di dissesto idrogeologico per il deficit di presidio del territorio e comportano la banalizzazione e semplificazione del paesaggio.

Altro fenomeno preoccupante riguarda il consumo di suolo, legato alla trasformazione di suolo agricolo, naturale e semi-naturale in aree edificate, infrastrutture e in altre forme di copertura artificiale. Oltre al cambiamento di destinazione dei suoli, all’abbandono dei terreni agricoli e al peggioramento degli habitat agricoli, la perdita di servizi ecosistemici è fortemente correlata al modello intensivo dell’agricoltura europea, favorito dal deciso sostegno dei prezzi e dei mercati da parte della PAC nel trentennio 1960 – 1990.

Molteplici sono le tipologie di impatto di origine agricola con effetti negativi sulla presenza e la diversità degli impollinatori, le più rilevanti riguardano l’utilizzo di sostanze chimiche, la presenza nelle acque superficiali e profonde di principi attivi contenuti nei prodotti fitosanitari, i processi di meccanizzazione con alterazioni del suolo agrario, la monocoltura, l’utilizzo di colture agrarie e varietà estranee alle condizioni naturali locali, le emissioni di gas serra con acidificazione dei suoli, l’eutrofizzazione delle acque, l’alterazione della biodiversità e i cambiamenti climatici.

Con la riforma MacSharry del 1992 e il passaggio dal sistema dei prezzi garantiti agli aiuti diretti, la PAC ha iniziato un lento e costante percorso verso una maggiore tutela degli equilibri ecologici ma è ancora forte la discrepanza tra le risorse comunitarie destinate ai pagamenti diretti e agli interventi di mercato (primo pilastro della PAC) e quelle assegnate alle misure di sostegno alle aree rurali e alle migliori pratiche sostenibili (secondo pilastro), denominate misure agroambientali e climatiche (AECM).

Nell’ultimo bilancio comunitario, infatti, le risorse economiche destinate all’agricoltura europea sono circa 358 mld. di euro (il 32,83% del bilancio totale, a prezzi costanti 2018) e di essi il 72,5% è a beneficio del primo pilastro (Senato della Repubblica, 2021).

L’impianto della nuova PAC, in vigore dal 1 gennaio 2023, dovrebbe tuttavia rendere possibile un ulteriore passo avanti dell’agricoltura verso gli obiettivi della sostenibilità ambientale e verso il ripristino di condizioni di naturalità diffusa.

La maggiore ambizione ambientale, definita dalla precedente Commissione, si concentra nella novità degli eco-schemi obbligatori per i singoli Stati (e facoltativi per gli agricoltori) e nel rafforzamento dei requisiti ambientali di base (condizionalità rafforzata).

Gli eco-schemi sono concepiti come pagamenti del primo pilastro che vanno oltre gli impegni ambientali obbligatori per tutti gli agricoltori beneficiari delle risorse PAC e che si sommano alle misure agroambientali e climatiche finanziate con i fondi del secondo pilastro.

ll sistema della condizionalità, vigente anche nell’attuale programmazione, associa il sostegno al reddito della PAC all’attuazione obbligatoria da parte dell’agricoltore di pratiche e norme agricole rispettose dell’ambiente e del clima, definite come “Buone condizioni agricole e ambientali” (BCAA) e “Criteri di gestione obbligatori” (CGO). La nuova PAC post 2023 prevede un maggiore numero di requisiti ambientali di base rispetto agli attuali (10 BCAA e 16 CGO rispetto ai 7 e 13 impegni dell’attuale PAC), include le rotazioni colturali (BCAA 8) in sostituzione della diversificazione e dispone ulteriori restrizioni all’uso dei prodotti fitosanitari (CGO 13) nelle zone protette.

Definite sulla base della direttiva quadro sulle acque (direttiva 2000/60/CE) e della legislazione relativa alla Rete Natura 2000 (direttiva 92/43/CEE “Habitat” e direttiva 2009/147/CE “Uccelli”), tali restrizioni dovranno assicurare la riduzione o l’eliminazione dei prodotti fitosanitari, privilegiando quelli definiti a basso rischio nel Regolamento (CE) n. 1107/2009, ed assicurare misure di controllo biologico degli organismi nocivi.

Le pratiche agricole beneficiarie saranno definite su scala nazionale/regionale con le misure adottate nei Piani Strategici Nazionali (PSN), in funzione delle specifiche esigenze e priorità e dovranno sostenere il raggiungimento degli obiettivi ambientali previsti nelle strategie “Biodiversità per il 2030” e “Dal produttore al consumatore”.

Per la tutela degli impollinatori obiettivi importanti sono la limitazione o la eliminazione dei prodotti chimici (pratiche di difesa integrata, di agricoltura biologica, di agricoltura di precisione e di agricoltura conservativa per il suolo) e la conservazione della biodiversità (pratiche compatibili con i principi dell’agroecologia e dell’agricoltura ad alto valore naturale).

Le tecniche agronomiche a basso impatto ambientale comprendono il minimo disturbo del terreno (tecniche della non lavorazione, della semina diretta e del minimun tillage), il mantenimento di pascoli, prati – pascoli e prati permanenti, la presenza di aree di interesse ecologico quali fasce tampone, siepi e boschetti, fasce inerbite, canali erbosi e zone umide, e la diversificazione delle colture agrarie che, come già detto, nella nuova PAC dovrebbe essere implementata dalla rotazione colturale obbligatoria.

Di particolare rilevanza tra le pratiche agricole sostenute dalla PAC è la produzione biologica, condotta secondo un Regolamento comunitario. Alternativa all’agricoltura intensiva e disciplinata da norme europee, il sistema biologico è una modalità di gestione dell’azienda agricola e di produzione alimentare (preparazione e trasformazione dei prodotti agricoli destinati ad essere utilizzati come alimenti) che impiega esclusivamente sostanze e procedimenti naturali.

Nella fase di produzione dei prodotti agricoli secondo il metodo biologico, normato dal Regolamento (CE) n. 834/2007 e delle successive modifice e integrazioni, è quindi escluso l’uso di prodotti chimici (fertilizzanti e prodotti fitosanitari) di sintesi e l’impiego degli OGM, dei regolatori di crescita e di additivi sintetici per mangimi.

L’agricoltura biologica si basa sul concetto che territorio e paesaggio appartengono ad un unico processo, per cui la gestione colturale è caratterizzata dall’adozione di più tecniche produttive “sostenibili” dal punto di vista ambientale, quali le rotazioni, il sovescio di leguminose e di altre specie, il controllo biologico degli organismi nocivi e l’uso di residui colturali, scarti organici e concimi di origine animale per la nutrizione delle piante e per il miglioramento delle caratteristiche chimico-fisiche del suolo.

La politica agricola comune PAC

La PAC è una politica comune a tutti i paesi dell’Unione europea, gestita e finanziata a livello europeo con risorse del bilancio dell’UE. L’agricoltura si distingue dalla maggior parte delle altre attività produttive per alcuni motivi specifici:

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