
Prodotto Agroalimentare Tradizionale della Campania
Carne fresca di agnelli delle razze laticauda e bagnolese, macellati non prima di quaranta giorni e non oltre i settanta dalla nascita, venduti interi o sezionati in vari tagli
Descrizione delle metodiche di lavorazione, condizionamento, stagionatura
L’agnello di Carmasciano deve provenire da pecore di razza laticauda o bagnolese allevate nel territorio ricompreso nel confine amministrativo dei tre comuni. L’agnello deve essere macellato non prima di quaranta giorni e non oltre i settanta dalla nascita. L’areale di allevamento è caratterizzato dalla presenza di acque lacustri, la valle d’Ansanto, dove proprio durante la transumanza in prossimità di questi luoghi avvenivano soste per far riposare gli animali e per commercializzare le agnelle necessarie per migliorare i greggi autoctoni.

Le particolari condizioni ambientali, caratterizzate da colline verdeggianti con boschi alternati a grandi prati permanenti usati come pascolo, creano un microclima unico e particolarmente adatto all’agricoltura e all’allevamento del bestiame. Qui i pastori allevano, con i metodi della tradizione secolare e allo stato semibrado, la rara Pecora Laticauda, una razza che probabilmente nasce da un incrocio tra una ovino autoctono e un altro proveniente dal nord africa importata in Italia dai Borboni ai tempi di Carlo III; la razza prende il nome dalla particolare coda che altro non è che una sorta di sacca in cui viene accumulato grasso durante la stagione ricca di cibo per poi sfruttarlo nei periodi di magra per garantire il nutrimento alla prole. I pastori tengono le greggi, per gran parte dell’anno, nei pascoli incontaminati tra i 600 e i 1000 metri di altezza, e soltanto nei periodi di forte gelo proteggono i loro capi rinchiudendoli negli ovili; molti pascoli hanno la particolarità di essere gestiti ad uso civico e collettivo, un’antica forma di gestione che risale addirittura a prima dei Sanniti.
Dalla nascita allo svezzamento gli animali sono allevati con le madri al pascolo; successivamente l’allevamento può proseguire al pascolo, con integrazioni alimentari, oppure in stabulazione, tradizionalmente fissa ma anche in stalla libera. Tradizionalmente veniva di norma praticata la transumanza, uso progressivamente in abbandono per le mutate condizioni sociali delle aree tradizionalmente interessate da questo allevamento.
L’alimentazione fino allo svezzamento naturale si basa sul latte della madre o di balie; successivamente la base alimentare è costituita da pascolo e foraggi freschi e conservati a base di essenze erbacee ed arbustive, tipiche dell’area di produzione. La condizione principale per produrre un agnello di pregio dipende dall’alimentazione. In considerazione della fertilità naturale dei terreni della valle, non vi è nessuna necessità di fertilizzare chimicamente i terreni, anche le infiorescenze spontaneamente presenti contribuiscono ad arricchire le essenze aromatiche delle erbe e del fieno. Il fieno, ottenuto da prati costituiti da loietto e trifoglio alessandrino di norma viene sfalciato entro la prima settimana di giugno utilizzando falciatrici tradizionali, dopo lo sfalcio le erbe sono giornalmente girate ad opera di ranghinatori meccanici proprio per favorirne l’essiccazione evitando la presenza di muffe.
La razione alimentare nell’ultima fase dell’accrescimento prevede l’aggiunta di modiche quantità di sfarinati provenienti da cereali e leguminose coltivati sempre in questo territorio, tale fase di finissaggio migliora sia la resa che la qualità organolettica delle carni. L’agnello di Carmasciano ha un’alta resa alla macellazione e le carni sono naturalmente sapide e prive del tipico odore ircino degli ovini, questo sapore poco marcato consente il consumo anche a coloro che non sono abituati a mangiare carni ovine.
Osservazioni sulla tradizionalità
Nel tempo, proprio per la particolarità della razza laticauda, con scarsa attitudine alla transumanza, ha determinato lo sviluppo di allevamenti di tipo stanziale. La valle d’Ansanto, era un antico luogo di culto della divinità italica Mefite invocata per la fertilità dei campi dalle popolazioni residenti, per la presenza di fenomeni vulcanici ed ancora oggi le continue esalazioni sulfuree (che dal nome della dea, Mefite, vengono ancora oggi definite “mefitiche”) arricchiscono i pascoli e i prati con sapori unici. Ma Mefite rappresenta anche il culto e il rito di transizione, e quindi legata alla transumanza, attività ancora presente e documentata. Proprio durante la transumanza in prossimità di questi luoghi avvenivano soste per far riposare gli animali e per commercializzare le agnelle necessarie per migliorare i greggi autoctoni. Le particolari condizioni ambientali, caratterizzate da colline verdeggianti con boschi alternati a grandi prati permanenti usati come pascolo, creano un microclima unico e particolarmente adatto all’agricoltura e all’allevamento del bestiame.
Territorio di produzione
Rocca San Felice, Guardia Lombardi, Frigento; praticamente la valle d’Ansanto nelle vicinanze della Mefite, in provinicia di Avellino.

Cicci PAT
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Fagiolo di cera PAT Campania
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