Arancia di Sorrento PAT Campania

Come il limone, anche l’arancio è una coltivazione tradizionale della Penisola Sorrentina, risalente addirittura al 1300; allora costituiva una notevole fonte di reddito, poiché alimentava un’intensa corrente di esportazione diretta, via mare, ai principali mercati italiani ed europei, cosicché nei secoli la sua coltivazione si è ampliata e perfezionata. E come per i limoneti, anche gli aranceti sono protetti dal vento e dal freddo dai caratteristici pergolati che, ritardando la maturazione dei frutti, consentono di raccogliere il prodotto in primavera inoltrata. L’arancia di Sorrento è caratterizzata dalla buccia abbastanza spessa, dall’abbondanza di semi e di succo e dal calibro piuttosto elevato. Il succo di quest’arancia è consumato da secoli, come spremuta, presso i caratteristici chioschi degli acquafrescai napoletani.

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Arancia di Pagani PAT Campania

L’arancia di Pagani è un tipo di arancia bionda coltivata nell’agro Nocerino-Sarnese e in particolare nei comuni di Pagani e S. Egidio di Monte Albino, la cui origine è, probabilmente, cinese, anche se venne importata in Europa dai portoghesi nel XVI secolo. Della sua importazione ad opera dei mercanti portoghesi resta traccia anche nel suo nome in dialetto “portualle”, la cui etimologia accomuna il dialetto napoletano ad altre lingue, come il turco ed il greco, e dialetti, come il calabrese o il siciliano. L’importazione in queste zone risulta, ad ogni modo, antichissima, documenti storici attestano che i primi aranceti specializzati furono impiantati sin dal 1845. Probabilmente ciò è dovuto sia alla particolare predisposizione dei terreni, di origine vulcanica o alluvionale, sia al clima particolarmente favorevole. L’arancia di Pagani matura nella tarda primavera, distinguendosi in ciò dalle altre varietà locali. Il colore della sua buccia va dall’arancio brillante ad un giallo tendente all’ocra.

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Amarene appassite dei Colli di San Pietro PAT Campania

In tutta l’area collinare della penisola Sorrentina, in provincia di Napoli, e in particolare nella zona dei Colli di San Pietro (Piano di Sorrento), Gragnano, Pimonte e Lettere, dall’antico procedimento di preparazione della conserva di pomodoro, è stata mutuata la metodologia di preparazione delle amarene appassite. Poiché le amarene sono molto abbondanti in zona, coltivate localmente in terreni marginali, si è pensato di conservarle in barattolo per utilizzarle nella preparazione di dolci e biscotti, mentre lo sciroppo addizionato con succo di limone, è ottimo per confezionare bevande fresche.

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Antica pera da sidro del Matese PAT

E’ una pera di piccole dimensioni, buccia molto spessa e ruvida al tatto, colore di base verde tendente al marrone in piena maturazione, polpa bianca e succosa, con evidente granulosità. Sapore aspro e tannico, povera di zuccheri ma ricca di vitamine e sali minerali. La antica pera da sidro del Matese è ormai praticamente estinta (esistono poche decine di piante molto vecchie in Prata Sannita). La pianta è molto vigorosa, resistente alle malattie e longeva; era presente in piante isolate nei frutteti misti di tipo familiare ed il prodotto era esclusivamente destinato alla produzione del sidro. Attualmente è in fase di recupero.

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Albicocca del Vesuvio PAT

Una delle prime testimonianze sulla presenza dell’albicocco in Campania la dobbiamo allo scienziato napoletano Gian Battista Della Porta che, nel 1583, nell’opera Suae Villae Pomarium ci parla di due tipi di albicocche: le “bericocche” e le più pregiate “crisomele”. Da questo antico termine deriverebbe il napoletano “crisommole” ancora oggi usato per indicare le albicocche. Nel testo ad opera di autori vari, “Breve ragguaglio dell’Agricoltura e Pastorizia del Regno di Napoli”, del 1845, si riconosce l’albicocco come l’albero più diffuso nell’area del napoletano, e precisamente in quella vesuviana, “dove viene meglio che altrove e più maniere se ne contano, differenti nelle frutta…”. Evidentemente già allora vi era un certo numero di ecotipi che offrivano frutti diversi a seconda delle caratteristiche della varietà di appartenenza.

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Acqua di pomodoro PAT

Antica tradizione campana era la preparazione delle bottiglie di pomodoro, vero e proprio rito domestico che coinvolgeva tutta la famiglia, dalla nonna ai più piccini. E’ un liquido di colore rosso-arancione, più chiaro se ottenuto da pomodori gialli, che emana un intenso odore di pomodoro fresco, dolce, con note finali piacevolmente acidule. I pomodori raccolti e selezionati a mano vengono lavati e schiacciati nel passa-pomodoro, ottenendo una passata che viene riscaldata a 90-95°C con aggiunta di sale. Dopo aver filtrato il liquido, lo si versa in barattoli di vetro che vengono sigillati ermeticamente e sterilizzati in autoclave. L’acqua di pomodoro nasce proprio dall’intento di portare avanti la tradizione recuperando l’acqua di lavorazione dei pomodori utilizzandola come condimento per piatti poveri.

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Aglio dell’Ufita PAT

Questo prodotto si presenta in bulbi di colore bianco tendenti al rosato, di dimensioni medie. L’aglio dell’Ufita viene ottenuto da semi, il cui nome tecnico è “bulbilli”, prodotti direttamente in azienda o da ditte sementiere locali; raccolti manualmente a giugno, i bulbi, utilizzando le foglie, vengono intrecciati fra loro in modo tale da formare le caratteristiche trecce, che sono messe ad essiccare per poi essere vendute in tutta la Campania.

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Carlentina, carosella, marzocca, pappola e risciola PAT

Nell’Avellinese, in particolare nella Comunità Montana Ufita e Alta Irpinia si coltivano diverse varietà di frumento tenero che, dopo la molitura vengono utilizzate per produrre il pane. Alcune di queste sono la carlentina, la carosella e la pappola, tutte varietà di frumento tenero a semina autunnale. La carlentina presenta una spiga aristata con culmo alto almeno un metro, così come la carosella la cui spiga, però, si differenzia da quella della carlentina in quanto completamente priva delle ariste.

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