Parco Nazionale dell’Alta Murgia

Vedi anche Sito Archeologico JAZZO FORNASIELLO

La storia

Parco Nazionale dell’Alta Murgia

Il Parco Nazionale Alta Murgia comprende un territorio di grande bellezza paesaggistica, in cui l’altopiano calcareo del versante adriatico e jonico si stempera in morbidi declivi e campi, generando una magnifica alternanza tra creste rocciose, profonde gravine e piane assolate.

Quest’area è frequentata da tempi antichissimi da agricoltori e pastori. Al di là della prima manifestazione di antropizzazione nella grotta di Lamalunga, documentata dal rinvenimento di uno scheletro inquadrabile nel Paleolitico Medio (150.000-200.000 a.C.), a partire dalla fine del Mesolitico (intorno al 3.000 a.C.) sul territorio si attestano i primi insediamenti stabili e si inizia a sviluppare una nuova economia basata non solo sull’ agricoltura, praticata probabilmente da popolazioni provenienti dalla costa, ma anche sulle prime attività pastorali nomadi.

In questo periodo la struttura di aggregazione sociale è legata prevalentemente a insediamenti in grotta. Nell’età del Bronzo (1550 a.C.-1200 a.C.) e ancora in quella del Ferro (IX – VIII a.C.), la cultura del luogo non si differenzia molto da quella dei territori confinanti.

Tra il IX e l’VIII secolo a.C. la zona registra l’ascesa di un’aristocrazia guerriera, un rapido sviluppo dei centri abitati – sia in aree collinari che pianeggianti – e l’affermazione di un’economia produttiva basata sull’agricoltura e l’allevamento del bestiame.

Contestualmente si assiste alla diffusione di villaggi agricoli nei dintorni di Altamura, del Pulo, di Gravina-Botromoagno e nei territori di Ruvo e Minervino, come documentato dall’alto numero di tombe rinvenute.

Con i secoli VII e VI a.C. i rapporti commerciali con la Grecia e le colonie magnogreche favoriscono il differenziarsi delle genti peucete dai Messapi e dai Dauni.

Le capanne con tetto stramineo vengono sostituite da case rettangolari ispirate al modello greco con tetto di tegole. Anche la ceramica attesta il processo di ellenizzazione con l’affermazione dei principali motivi della decorazione geometrica (svastica peduncolata, la croce di malta ed il gallinaccio).

Al contrario la tradizione indigena protostorica conserva il rituale funerario ad inumazione con postura rannicchiata, con predominanza di ceramiche di importazione nei corredi.

Il periodo successivo è caratterizzato da una serie di conflitti tra popolazioni italiche, determinati principalmente dalle tendenze espansionistiche di Oschi e Sanniti, e poi dal consolidamento dell’alleanza tra Roma e i diversi centri cittadini.

Questa fase è segnata dalla radicale trasformazione del tessuto urbanistico sul territorio murgiano, anche a seguito della realizzazione del nuovo tracciato della Via Appia, di collegamento sia con il sud dell’Italia che, attraverso la Via Traiana, con le aree costiere e le compagini territoriali dell’Oriente.

Lungo l’arteria, in corrispondenza delle pendici murgiane, si sviluppano alcune importanti stazioni di sosta quali Ad Pinum (forse l’attuale Spinazzola), Silvum (Gravina), Blera e Sub-Lupatia (forse la zona di Jesce, a sud-est di Altamura).

In questa fase si registra una lenta e radicale romanizzazione che ha la sua massima espressione nella centuriazione delle aree pianeggianti, quali Butuntinus (di Bitonto) e Rubustinus (di Ruvo).

Contestualmente si verifica una profonda azione di disboscamento, per ricavarne spazi dedicati alla pastorizia stanziale e transumante, dove arrivano a svernare le greggi appenniniche del Sannio e dell’Abruzzo.

Con la fine dell’Impero romano l’area dell’Alta Murgia ricopre una funzione periferica e assiste ad una parziale contrazione demografica, che da vita ad un tessuto frammentario e autonomo, articolato in micro contesti ciascuno con specifiche dinamiche insediative.

Se da un lato l’area a nord delle Murge è quella che registra una maggiore concentrazione e frequentazione, dall’altro le Murge occidentali mostrano un contesto articolato in ville imperiali, insediamenti agricoli (vici) o semplici fattorie, come documentato nei dintorni di Gravina nella valle del Basentello.

Di contro, le aree interne, così come quelle verso la costa, sono più soggette allo spopolamento. È con le guerre greco-gotiche, nella metà del VI secolo d.C., che si registra un maggior spopolamento dell’area, tanto da far ipotizzare ad una profonda contrazione dei centri vicanici e municipali.

A seguito del passaggio dei Goti si verifica la diffusione del culto cristiano, la cui massima testimonianza archeologica la si rintraccia in ambito rurale nell’edifico di culto di Belmonte, presso Altamura.

Durante l’alto Medioevo l’Alta Murgia ricopre un ruolo secondario, di confine tra la zona di controllo longobarda e quella greco bizantina.

Un nuovo spopolamento contraddistingue questi territori; i nuclei abitati utilizzati nei secoli precedenti vengono in larga misura abbandonati e si creano nuovi insediamenti all’interno di grotte e anfratti rocciosi.

È con la dominazione bizantina che si può iniziare a parlare di veri e propri centri abitati a profilo urbano, soprattutto quelli sul versante occidentale, quali Minervino, Montemilone, Acquatetta, Montepeloso e Gravina.

Durante la dominazione normanna e in seguito prima con Federico II e poi con gli Angioini, si afferma invece una nuova fase in cui il sistema insediativo prevalente è quello castellare.

Sorgono strutture difensive a Ruvo, Altamura, Spinazzola, Castel del Monte, Gravina, Garagnone e Santeramo. Il sistema ha come unico scopo quello di sviluppare un controllo ad ampio raggio dei territori, allo scopo di realizzare una più efficace gestione delle attività agricole.

Valga come esempio il castello di Garagnone, posto a controllo del commercio del grano, nel punto in cui la Via Appia antica incrocia le direttrici verso Ruvo, Corato, Andria, e più in là verso la costa, Barletta.

Durante l’età angioina e aragonese il tessuto dell’Alta Murgia vive un nuovo processo di ridefinizione delle aree in termini funzionali, connesso con l’incipiente crescita pastorale e con la riorganizzazione messa in atto con la famosa Dogana menae pecudum del 1433: le terre di Bitonto, Ruvo, Corato, Andria e Minervino costituiscono il cosiddetto “Riposo delle Murge”, cosi come la parte occidentale dell’Alta Murgia da vita al grande “riposo generale”, articolandosi tutte in difese, saldi, locazioni e altre tipologie di controllo e amministrazione previste dalla Dogana.

Questo permette di assegnare le terre a tutti coloro in grado di insediarsi in queste zone, compresi eventuali forestieri, come ad esempio i pastori abruzzesi, che incominciano ad occuparle in modo radicale (ne è prova la presenza di toponimi abruzzesi accanto a quelli pugliesi).

A partire dal XVI secolo si assiste ad uno sviluppo insediativo, che rimarrà immutato nei secoli successivi e che costituirà il patrimonio culturale e architettonico che ancora adesso caratterizza il paesaggio dell’Alta Murgia.

Sorgono le masserie, i jazzi, i casini: l’edilizia rurale ha ora un ruolo ormai
connesso indissolubilmente con l’attività agricola condotta in questi territori.

I BENI

Castel del Monte (Andria)

CASTEL DEL MONTE (ANDRIA)

Dichiarato nel 1996 dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità, è un capolavoro unico dell’architettura medievale.

Voluto da Federico II di Svevia, l’opera fu realizzata su progetto di architetto ignoto, sebbene la tradizione ami riconnettere la paternità ad un’idea progettuale dello stesso Federico.

Si tratta di un esempio canonico di architettura gotica con reminiscenze romaniche e classiche. Realizzato con materiali litici differenti – pietra calcarea, breccia corallina, marmi orientali – la struttura gioca sul cromatismo naturale di queste pietre.

La posizione è strategica, a mezza via tra Andria ed il Castello del Garagnone. Resta controversa l’interpretazione circa la funzione dell’edificio: ritrovo di caccia oppure opera militare? Sebbene la parola castello faccia esplicito riferimento alla terminologia poliorcetica, l’assenza di fossato, caditoie e ponte levatoio da un lato, ed il lusso delle rifiniture e del repertorio decorativo dall’altro, rendono plausibile anche un uso residenziale della struttura.

Con la caduta degli Svevi l’edificio assunse una funzione carceraria, servendo anche da rifugio a nobili famiglie durante la pestilenza del 1665.

A partire dal XVIII secolo la struttura fu abbandonata e occupata da pastori, briganti e rifugiati politici, con conseguente spoliazione di arredi e decorazioni di pregio.

Questa situazione si protrasse fino al 1876, quando fu riscattato dallo stato e restaurato. Tali interventi conservativi furono ripresi con maggiore intensità a partire dal 1928.

Il castello ha una pianta ottagonale con otto torri ottagonali e si sviluppa su due piani, ognuno costituito da otto stanze uguali. Il collegamento tra i due piani avveniva per il tramite di tre scale a chiocciola inserite in altrettante torri, al cui interno erano i bagni. Su ogni facciata si aprono due finestre: una monofora al piano inferiore ed una bifora a quello superiore.

Solo sul lato nord, che si rivolge ad Andria, si apre una trifora.
Il portale principale, cui si accede da due rampe di scale simmetriche, si apre nella facciata rivolta ad est è di breccia corallina, di evidente ispirazione classica nello schema ad arco trionfale e nei capitelli riecheggianti l’ordine corinzio. La fattura gotica, tuttavia, emerge con forza
nelle forme allungate e nell’arco ogivale dell’ingresso.

Le otto sale trapezoidali del pianterreno si presentano con straordinaria uniformità costruttiva. Il cortile interno di pianta ottagonale, presenta apprestamenti essenziali, in alcuni resoconti del XVIII secolo si menziona in particolare una vasca, anch’essa ottagonale posta al centro dello spiazzo, probabilmente collegata ad una grande cisterna al di sotto del piano di calpestio.

Del corredo scultoreo, che ornava quest’area, rimane solo una lastra raffigurante un corteo di cavalieri ed un frammento di figura antropomorfa. Sul cortile si aprono porte e finestre di varia forma senza presentare una gerarchia simmetrica ma rispondendo piuttosto alla necessità degli ambienti interni. Il piano superiore replica esattamente la pianta ottagonale del primo piano; le otto sale sono coperte da una volta sostenuta da esili costoloni e sono illuminate dalla luce attraverso le finestre (bifore e trifore).

Nelle lunette definite dalle costolature della volta si individuano specchiature analoghe all’opera reticolata romana; si tratta di un caso unico di ritorno a questa antica tecnica edilizia. Grandissimo interesse ha il complesso dei rivestimenti pregiati utilizzate per impreziosire le superfici: mosaici, maioliche e paste vitree, solo in parte conservati, ma conosciuti soprattutto attraverso l’opera di scrittori locali del ‘700 ed ‘800.

CATTEDRALE (RUVO DI PUGLIA)

Cattedrale di Ruvo di Puglia

Si tratta di uno dei più notevoli esempi di architettura romanica della Puglia, risalente al periodo normanno (XII – XIII secolo) e oggetto di significativi restauri nel secolo scorso.

La facciata presenta un rosone, a dodici raggi di colonnine con archetti trilobi, un tempo incorniciato entro cuspide con coronamento ad archetti.

Nella parte inferiore della facciata si aprono tre portali: i due laterali hanno un profilo con sesto leggermente acuto mentre quello mediano è a tutto sesto e mostra una ricchissima decorazione su cornice ed archivolto, al centro del quale si trova il Padre Eterno in trono e l’agnello dell’apocalisse.

A destra della chiesa sorge il campanile, utilizzato come torre difensiva e prigione. L’interno, a tre navate divise da cinque arcate per lato ad estradosso falcato su pilastri compositi, riecheggia la verticalità gotica della facciata con tre absidi semicircolari sul lato di fondo.

La navata mediana ed il transetto sono coperti da soffitto ligneo a travature scoperte, mentre quelle laterali hanno copertura a terrazza. Tra il ‘500 ed i ‘600 nelle navate laterali furono aperte alcune cappelle, poi richiuse nel corso dei restauri del primo ‘900.

Scavi condotti al di sotto della cattedrale negli anni settanta hanno inoltre permesso di rinvenire stratigrafie romane e peucete relative alla fase anteriore alla costruzione della Cattedrale.

JAZZO FORNASIELLO (GRAVINA IN PUGLIA)

Il sito di Jazzo Fornasiello conserva ancora le tracce di un ricco insediamento agricolo peuceta, inquadrabile tra il IV e il VI secolo a.C.

L’area archeologica è situata ai piedi dell’altipiano murgiano, al confine tra i territori di Gravina e di Poggiorsini. L’abitato conserva una prima fase di frequentazione con insediamento a capanne e con resti di sepolture – scavate direttamente nel banco roccioso – che accoglievano inumati rannicchiati (purtroppo in fase di scavo le tombe risultavano violate;

i pochi reperti rimasti hanno permesso di inquadrarle tra la prima metà del VI e i primi decenni del V secolo a.C.). Una seconda fase di vita dell’abitato porta alla costruzione di un grande edificio in pietra, chiamato Case dei Dolii, articolato in una serie di vani giustapposti.

Il rinvenimento, in uno di questi vani, di numerosi frammenti di grandi contenitori ha lasciato ipotizzare un uso dello stesso come magazzino di derrate alimentari, forse per tutta la comunità di Jazzo Fornasiello.

Gli altri ambienti, diversamente, avevano probabilmente la funzione di
accogliere attività artigianali.

Gli ultimi scavi, nel 2010, hanno individuato un imponente circuito difensivo che delimita lo spazio abitativo, caratterizzato da un muro a doppio paramento, con riempimento interno, e un fossato esterno rinforzato a nord da una cortina costruttiva.

Fonte @ Ministero dell’Ambiente

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *