Visitare i 30 borghi tra i più belli della Toscana

Anghiari

Paese dagli incantevoli panorami, Anghiari ha origini antiche e si presenta al visitatore con il suo caratteristico aspetto medievale, posizionato su di un’altura a dominio della valle del Tevere. Se è già bello osservarlo dalla pianura, ancor più affascinante è girovagare per l’antico borgo con le sue pittoresche case in pietra, i vicoli, le scale, le suggestive piazze.

Di certo fu durante il Medioevo che Anghiari assunse la massima importanza, soprattutto per l’evidente posizione strategica. Si trova nominato per la prima volta in una pergamena del 1048, anche se i primi insediamenti sulla collina furono in epoca romana. Dominio dei Signori di Galbino prima, dei Camaldolesi poi, in seguito parte del territorio della Repubblica Fiorentina, il paese vide uno dei momenti più importanti della sua storia nella battaglia di Anghiari, quando il 29 giugno 1440 le truppe fiorentine sconfissero quelle milanesi sotto le mura del paese. Lo scontro venne raffigurato da Leonardo da Vinci, un capolavoro ora perduto, ma di cui ne permangono moltissime copie. 

Da visitare sono il Museo della Battaglia e di Anghiari(aperto tutto l’anno), dove si conservano testimonianze della storia di Anghiari e della vicenda artistica sulla battaglia, ad esempio una rara opera seicentesca di Gèrard Edelick che raffigura la scomparsa “zuffa per lo stendardo” di Leonardo da Vinci; il Palazzo Taglieschi(aperto tutto l’anno) con il Museo Statale delle Arti e Tradizioni Popolari, dove sono conservati affreschi, dipinti, sculture lignee policrome (fra cui una Madonna di Jacopo della Quercia) e pregevoli terrecotte invetriate; il Museo della Misericordia (aperto dai volontari della locale Misericordia) che conserva le testimonianze della secolare attività caritatevole; il Museo della Beccaccia (aperto ogni fine settimana) è il primo e unico museo dedicato alla Beccaccia, un ponte fra ambientalismo e caccia sostenibile.

All’interno del centro storico e nelle vicinanze, oltre ai palazzi e alle fortificazioni del paese, sono da visitare le principali chiese, per un percorso di storia dal medioevo al settecento.

Passeggiando nel territorio a piedi, in bicicletta, in auto, immancabile è la visita al luogo dove si svolse la battaglia di Anghiari, facilmente raggiungibile dal centro storico seguendo la strada diritta, costruita nel medioevo, che collega Anghiari con Sansepolcro.Facilmente raggiungibilisonole aree naturali della Riserva naturale dei Monti Rognosi e l’area golenale del fiume Tevere, che fanno da cornici ideali alle ville e castelli di cui il territorio è disseminato.

Buonconvento, Siena

Il nome Buonconvento deriva da “Bonus Conventus” che significa buona adunanza delle persone che qua si stabilirono richiamate dalla fertilità della terra e dai vantaggi che provenivano dalla sua buona collocazione lungo la Via Francigena, immersa nella pianura bagnata dai corsi dei fiumi Arbia e Ombrone. L’insediamento originario del borgo era sul colle di Percenna, costruito attorno al castello a guardia del guado sul fiume Ombrone; espugnato ed abbattuto il castello, si formò un borgo in pianura.

Verso la metà del 1200, il borgo si affermò come centro di transiti e scambi commerciali, fino ad assumere, all’inizio del secolo seguente, una fisionomia sempre più importante nel sistema di amministrazione e di difesa militare del contado di Siena.

Nel 1313 fu occupato dall’esercito imperiale di Arrigo VII di Lussemburgo (secondo alcuni il “Veltro” invocato da Dante), sceso in Italia per restaurarvi l’autorità imperiale, ma ben presto il suo sogno si frantumò perchè il 24 agosto dello stesso anno morì, pare a causa della malaria contratta durante il suo viaggio.

Nel 1316 il borgo fu assalito da Uguccione della Faggiola e nel 1358 dai perugini in lotta contro i senesi, rimanendo fortemente danneggiato, così nel tempo fu deciso di provvedere con opere di fortificazioni. ebbero inizio nel 1371 e si protrassero per ben 12 anni.

Nel 1385 all’interno della via principale fu innalzato il Palazzo Podestarile con la torre civica, che tutt’oggi ci mostra 25 stemmi degli antichi podestà. Nel 1400 Buonconvento divenne sede di una vasta podesteria che comprendeva 32 località, il suo prestigio accrebbe quando nel 1480 fu concessa la cittadinanza senese.

Nel 1559, a seguito della caduta di Siena entrò a far parte del Granducato di Toscana, sotto il governo della potente famiglia de I Medici, rimanendo così il fulcro della Val d’Arbia.

Le Crete senesi, che in buona misura attraversano la Val d’Arbia, sono quel luogo suggestivo a sud di Siena, fonte di ispirazione di poeti, scrittori, pittori antichi e moderni, fotografi; replicato soggetto di cartoline, poster, calendari; set privilegiato di cinema e pubblicità.

Insomma un luogo continuamente rappresentato, forse per il fatto che nelle Crete si percepisce e si respira uno stile di vita del tutto autentico, lontano dalle forme più deteriori del turismo odierno. Da qualunque direzione vi si giunga, la peculiarità di queste terre è inconfondibile per colore, forma e non di meno per ciò che quel paesaggio evoca sul piano delle emozioni. Ecco, se immaginiamo le Terre di Siena come un composito mosaico di territori – tutti dotati indubbiamente di una loro bellezza e identità – le Crete senesi rappresentano una tessera fondamentale, non solo per il paesaggio, ma anche per ciò che questa realtà esprime in termini di cultura e di tradizioni. Non ultima la tradizione legata al cibo che qui ha radici così profonde da costituirne una vera e propria essenza.

Terra di suggestioni, quella delle Crete, ma terra dura, povera, a tratti brulla, adatta al pascolo, che rimanda alla fatica avita del contadino e a una cultura essenziale in cui il cibo non è orpello o fantasia, ma necessità: olio, vino, pane, latte. Terra agrodolce, terra di forni e fornaci, segnata dal biancore dei calanchi e dal nero profilo dei cipressi. Allora giardini incantati – quasi miraggi – appaiono in mezzo a tante asperità. E antiche officine di semplici prendono vita dalle erbe profumate dei pascoli.

Capalbio

Il territorio del Comune di Capalbio, estremo lembo della Maremma Toscana, si estende dal mare alle colline che, oltre il capoluogo, si uniscono a quelle di Manciano, Orbetello e dell’Alto Lazio.
Il litorale ( 13 km. di splendida spiaggia senza insediamenti), è dominato dal tombolo, la caratteristica vegetazione mediterranea profumata di ginepro, erica, mirto, pini e ginestre; risalendo attraverso la placida e ordinata campagna, tra file di viti ed olivi, si incontra il borgo medioevale di Capalbio, posto su una collina circondata dalla “macchia”, via via più fitta e misteriosa, patria di cinghiali e caprioli; nell’insieme un territorio dal sapore antico, che ha conservato un aspetto selvaggio e tranquillo al tempo stesso, in un ambiente naturale di straordinario valore.

Capalbio si raggiunge in auto ( S.S. Aurelia, 130 km. da Roma, 60 km. da Grosseto), in treno sulla linea Roma-Genova, con fermate locali a Capalbio Scalo e Orbetello per le corse più veloci; collegamento in autobus per Orbetello e Grosseto.

La storia di Capalbio: come si desume dalle sue vestigia, emerge dall’antichità per caratterizzarsi poi nel Medioevo – Dalla prima citazione nota, la Bolla Leonino Carolingia di Carlo Magno dell’805, attraverso l’Abbazia delle Tre Fontane, si giunge nel ‘200 al dominio degli Aldobrandeschi e poi degli Orsini – Nel 1416 Capalbio passa alla Repubblica di Siena, vivendo un periodo di floridità e rinnovamento – Nel 1532 fu occupata dalle truppe di Carlo V, per essere poi liberata con l’aiuto dei francesi – Caduta la Repubblica di Siena, il territorio fu assegnato a Cosimo dei Medici, conoscendo l’inizio di una lenta decadenza, acuita anche dall’espandersi della malaria – Il passaggio ai Lorena segnò la perdita dell’autonomia con l’aggregazione a Manciano e, nel 1842, ad Orbetello, per poi essere annessa al Regno d’Italia nel 1860

Questo di fine Ottocento rimane per certi versi uno dei periodi più originali, legato com’è all’epopea dei briganti, da cui echeggiano nomi ed episodi leggendari, uno su tutti quello di Domenico Tiburizi, mai domo, ucciso nel 1896 in circostanze misteriose ed altrettanto misteriosamente sepolto – Il periodo seguente fu caratterizzato dal latifondo e dalla lenta ripresa, per passare poi alla Riforma Agraria degli anni Cinquanta e al conseguente ripopolamento, fino al recupero dell’autonomia amministrativa nel 1960 – A distanza di quarant’anni molte cose sono mutate e molte, fortunatamente, non lo sono sostanzialmente – Da una economia prevalentemente agricola, che ha finito per scontare la generale congiuntura del settore, si è passati ad un indirizzo decisamente più turistico e terziario, potendo godere di un patrimonio naturale conservato nel tempo – Grande impulso, in questo settore, quello ricavato da una ormai consolidata fama nazionale derivata dalle varie frequentazioni eccellenti di politici, intellettuali, giornalisti e personalità dello spettacolo, che hanno eletto a “buen ritiro” il centro storico e la campagna capalbiese, in virtù della bellezza e della tranquilla riservatezza dei luoghi.

C’E’ DA VEDERE: Il centro storico di Capalbio, con la sua inalterata urbanistica medioevale, la Porta Senese, il Camminamento di Ronda, la Pieve di San Nicola con pregevoli affreschi di scuola umbra e senese del ‘400, l’Oratorio della Provvidenza con una Madonna con Bambino circondata dai Santi attribuita al Pinturicchio, la Torre Aldobrandesca dalla quale si gode di un panorama unico, il Castello, oggetto di un lungo e splendido lavoro di restauro, nel quale è custodito il Fortepiano Conrad Graf, uno strumento quasi unico sul quale componeva Giacomo Puccini – La Riserva Naturale del Lago di Burano, una delle più famose Oasi del WWF, posta tra il mare e la terraferma, dove è possibile ammirare rari esemplari di uccelli, fauna e flora palustre ( Tel.0564/898829)

Il Giardino dei Tarocchi, della grande artista Niki de Saint Phalle, un’opera unica nel suo genere, con migliaia di visitatori da tutto il mondo che vedono spuntare dalla vegetazione del colle di Garavicchio, insoliti, mistici e coloratissimi, i giganti ispirati alle figure simboliche degli arcani maggiori

Casale Marittimo, Pisa

“A mano destra si stacca una propaggine di collina, che si estende verso il mare, e nel cui ultimo dorso è situato il moderno Casale”. Giovanni Targioni Tozzetti, viaggiatore ed erudito, a metà del ‘700, dava evidentemente voce alla tradizione secondo cui erano esistiti due castelli: Casalvecchio, il cui nome è rimasto ad indicare una collina a sud-est dell’attuale paese, e Casalnuovo, l’odierno Casale Marittimo. La zona, ricca di acque minerali, di selvaggina, di sale, insieme alla mitezza del clima, aveva del resto favorito fin dai tempi più antichi l’insediamento umano.

E proprio sulla collina di Casalvecchio gli scavi archeologici hanno riportato in luce i resti di un villaggio etrusco del VII sec. a.C., e gli edifici di un secondo insediamento, stabilitosi nel IV sec. a.C. Ma la scoperta più straordinaria è quella della necropoli di Casa Nocera, un complesso di sepolture, di età orientalizzante, appartenute ai principi guerrieri etruschi, che dominavano la zona. Al VI sec. a.C. risale la tholos delle Poggiarelle, un eccezionale esempio di architettura funeraria etrusca, scoperto nel 1896.

L’epoca romana ha lasciato le sue vestigia nella villa della Pieve, dai cui scavi vengono molti materiali riutilizzati in vari edifici del paese: tra tutti spiccano le zampe di leone reimpiegate nel trono della chiesa di Sant’Andrea. Nel 1551 Casale aveva 245 abitanti e, nel secolo successivo, sappiamo che dovette rafforzare le difese contro le incursioni dei pirati. Critico anche il quadro sanitario se nel 1709 “fu proposto come sarebbe stato molto necessario munirsi all’occasione di un medico, stante l’aria cattiva, e le multità dei malati che spesso ne muoiono miseramente”. La situazione, tuttavia, dovette migliorare rapidamente: nel 1742 il Targioni Tozzetti definiva Casale “il più grosso, e più salubre castello di tutto il Marchesato.

La ragione della salubrità è non solamente una vicina Fontana d’acqua buona, come anche la situazione favorevole in uno sporto di Collina elevata, e benissimo ventilata”. Nel 1854, con la progressiva bonifica della palude costiera, gli abitanti erano saliti a 1070. Fino al 1862 chiamato Casale nelle Maremme, dal 1862 al 1899 il paese prese il nome di Casale di Val di Cecina e solo nel 1900 quello di Casale Marittimo.

Nel 1936 il numero degli abitanti raggiunse il limite massimo di 1583, ma negli anni ’50 iniziò l’emigrazione verso i centri di pianura in rapido sviluppo industriale. Nel 1971 si era scesi a 837 unità e, da allora, il rischio dell’abbandono è stato superato sia per il “ritorno” di molti abitanti sia per l’arrivo di turisti stranieri: così come è avvenuto nei poderi dei dintorni dove è ripresa, in termini di qualità, la coltivazione tradizionale di cereali, olio e vino indirizzata soprattutto al turismo, attuale prevalente fonte di reddito per un paese tranquillo, adagiato su una collina a 214 metri s.l.m. che domina un vasto panorama della costa tirrenica. Il mare, le spiagge, le pinete distano solo 12 km e sono ben visibili le isole dell’arcipelago toscano.

Castagneto Carducci, Livorno

Capoluogo del Comune omonimo, è un piccolo borgo adagiato sulla sommità della collina, su cui domina il Castello dei Conti della Gherardesca, un tempo circondato da mura di cui sopravvive il fronte rivolto verso il mare e che insieme alla chiesa di San Lorenzo, costituisce il nucleo originario del centro abitato. Intorno al Castello la cui edificazione risale probabilmente al Mille, si è sviluppato il centro urbano secondo uno schema di anelli concentrici che danno vita ad un sistema di strade, vicoli e piazzette.

Il castello ebbe, nella sua lunga storia, numerose modificazioni e rifacimenti successivi, al pari della chiesa parrocchiale, a lungo utilizzata come chiesa del castello, come si ravvisa dall’esame delle strutture interne. Davanti alla propositura di San Lorenzo, sorge la Chiesa del S.S. Crocifisso al cui interno è conservato il Crocifisso ligneo di epoca quattocentesca, rinvenuto tra i ruderi dell’antico monastero di San Colombano ed oggetto di vivissimo culto locale, rappresentato dalle “Feste Triennali” L’attuale municipio, divenuto sede municipale nel 1849 nel quadro della complessa vicenda delle preselle, aveva funzionato, a partire dal 1716, da palazzo pretorio; nella piazzetta retrostante, la Piazza della Gogna, avevano luogo le grida di condanne e l’esecuzione di infamanti pene alla gogna ed alla berlina. Di particolare interesse: Castello della Gherardesca (Via Indipendenza), Propositura di San Lorenzo, Chiesa del S.S. Crocifisso, Chiesa della Madonna del Carmine (di recente dichiarata sede del costituendo Museo dei paramenti sacri), Centro Carducciano (Via Carducci, 59), Museo Archivio, Piazzale Belvedere

Il ruolo prioritario esercitato nel tempo dalla famiglia comitale Della Gherardesca sul territorio di Castagneto, costantemente assoggettato alla sua autorità, sin dal periodo medioevale, ha indotto nel passato molti storici ad intrecciare, in forma variamente differenziata, le più antiche vicende della località e dei dintorni con quelle dei supposti fondatori del casato, in una sorta di connubio atavico che fu talvolta utilizzato come strumento utile a legittimare il secolare diritto di possesso esercitato in loco dai componenti l’illustre casata.

A giudizio di taluni, infatti, l’origine dei Della Gherardesca va fatta risalire al longobardo Walfredo il quale, nel 754, risulta avere fondato, presso l’attuale Monteverdi, in monastero di San Pietro in Palazzuolo, legando ad esso, tramite donazione, sia Castagneto sia numerose altre proprietà territoriali. I dati storici confermano l’esistenza di uno stretto rapporto tra la terra di Castagneto ed i Gherardesca, tant’è che alcuni componenti della settima generazione, sono indicati in un documento del 9 Novembre 1161, con il titolo di conti di Castagneto, accompagnato da quello di “domini” di Donoratico, ed è tra i membri della solita casata che si rintracciano i conti delle località limitrofe di Segalari, Donoratico e Bolgheri.

L’acquisizione di queste e numerose altre proprietà, originariamente sparse all’interno delle contee di Pisa, Populonia, Lucca e Volterra, rappresentò ovviamente la diretta conseguenza del ruolo politico svolto dai Della Gherardesca nel contesto dell’antica Tuscia: nella seconda metà del X secolo, infatti, alcuni membri di questa famiglia furono conti di Volterra e l’avvenuta investitura lascia trasparire con chiarezza l’esistenza di forti legami coi rappresentanti dell’autorità centrale, che si concretizzarono più avanti con l’adesione al partito enriciano, schieratosi a favore dell’imperatore Enrico II per contrastare quei fermenti di rivolta ed autonomia che avevano portato, nell’anno 1002, all’elezione di Arduino d’Ivrea a re d’Italia.

La decisa posizione filoimperiale assunta dai Gherardeschi si rivelò vincente e produsse, come diretta conseguenza, una riconferma dei privilegi in precedenza acquisiti, cui si sommarono, nella prima metà del secolo XI, nuovi vantaggi economico politici derivati dall’ampliamento del patrimonio fondiario. Verso la fine del Trecento si produce uno spostamento degli interessi familiari dei Gherardesca, dalla contea di Volterra verso la città di Pisa, con una progressiva acquisizione di prestigio civico, poi confluito nell’assunzione di importanti cariche pubbliche. La nuova condizione non mancò di provocare ampi riflessi sui territori Mappartenenti ai feudi di famiglia: se, infatti, da un punto di vista giuridico formale, oltre ai diretti benefici derivanti dal possesso delle proprietà terriere, fu demandata ai conti la sola gestione della giustizia amministrativa, mentre la sfera della giustizia criminale è di pertinenza del Comune di Pisa, nella realtà dei fatti ed in virtù del predominio esercitato sulla vita politica pisana i Della Gherardesca godettero di una totale autonomia e pienezza di gestione, qualificandosi come signori unici e assoluti delle comunità comprese dentro i propri feudi.

E’ solamente dopo il 1405, a seguito della conquista di Pisa da parte di fiorentini, che si produssero talune svolte, atte a modificare il precedente assetto amministrativo: nel 1421 la Comunità di Castagneto è autorizzata a darsi degli statuti autonomi, mentre nel ’25 la sfera dell’alta giustizia, ovverosia della giustizia criminale, fu sottratta alle possibili ingerenze della famiglia ed affidata al Capitano vicario di Campiglia, direttamente dipendente dal governo di Firenze. I cambiamenti menzionati tuttavia non provocarono un autentico sradicamento degli antichi privilegi; si deve ricordare, infatti, che ai Della Gherardesca furono riconfermati i diritti di signoria, al tempo stesso i conti furono nominati vicari di Castagneto e di diversi altri centri confinanti, con un’operazione che, senza stravolgere i precedenti assetti della proprietà territoriale, si limitava a ribadirne l’avvenuta subordinazione al potere centrale fiorentino. Sul fronte dei rapporti intercorrenti tra i membri della casata e la Comunità di Castagneto si delinea, a partire dal secolo XVI, una precisa contrapposizione, sfociata in dispute giuridiche che videro di volta in volta fronteggiarsi gli interessi degli indigeni e quelli dei conti: così – ad esempio – tra il 1566 ed ’67 Francesco Della Gherardesca rivendicò i diritti feudali di caccia, pesca, pascolo e legnatico e nella causa che ne seguì si vide riconoscere i primi due dal tribunale fiorentino giudicante, mentre per gli altri prevalsero le richieste avanzate dalla popolazione locale, a cui, dopo svariati anni, i Della Gherardesca furono costretti a cedere lo jus pascendi ed il permesso di usufrutto sul legname (1600 – 1610).

E’ tuttavia nel Settecento e più precisamente nel periodo lorenese, che i contrasti fra le parti iniziarono ad assumere caratteri di più profonda asprezza: nel 1776, contestualmente ad una più complessa e generale operazione di riordino territoriale, Castagneto perse la propria autonomia e fu inglobato, insieme ai centri di Bolgheri e Donoratico, nella comunità di Gherardesca, vedendo cancellare il proprio nome a tutto favore di una nuova e non gradita determinazione. Per contrastare l’avvenuto cambiamento, che riconosceva il ruolo prioritario esercitato dalla famiglia comitale su quella parte della Maremma, i castagnetani rivolsero al Granduca Pietro Leopoldo un accorato appello, denunciando il grave stato di abbandono in cui versavano le zone controllate dai Della Gherardesca e chiedendo di essere sottratti al loro feudo. La richiesta non fu esaudita, anche se i conti, in quello stesso anno, dovettero adottare nei propri territori la legge sui feudi, da lungo tempo emessa che riducendo in forma sostanziale il potere dei feudatari, avrebbe permesso alle popolazioni di acquisire una maggiore autonomia, facilitando inoltre il decollo di una nuova, più illuminata politica economica, mirata a soddisfare le necessità dei ceti emergenti. Profondi attriti caratterizzarono anche la vita ottocentesca, quando il bisogno di libertà ed autonomia degli abitanti continuò a scontrarsi con la rivendicazione dei diritti comitali, sfociando in azioni legali e pubbliche proteste. Il primo scontro, verificatosi nel ’44, fu la diretta conseguenza dell’inasprimento delle relazioni tra i castagnetani ed il conte che, in quello stesso anno aveva fatto circolare un suo proclama, tramite il quale ribadiva l’antico divieto di cacciare e di pescare nelle proprie tenute; la fase più violenta e accesa degli scontri, tuttavia, si ebbe tra il ’47 ed il ’48.

Memorabile, tra gli altri, il tumulto scoppiato per sottrarre al conte l’oratorio cittadino di S. Sebastiano (non più esistente), che pur essendo proprietà della Comunità fungeva da cappella privata della famiglia Gherardesca. Per l’intervento e per l’accorta mediazione effettuata da Giuliano Ricci si poté giungere, alla fine, ad un accordo tra le parti, che si concluse con la concessione al popolo delle tanto agognate preselle e con la definitiva presa di possesso, da parte del Comune, del conteso oratorio, nonché del palazzo pretorio, successivamente trasformato in municipio. Inoltre scomparse dalla toponomastica locale l’odiata denominazione Comunità di Gherardesca, in luogo della quale fu ristabilita quella di Castagneto che sembra derivare, dal tipo di vegetazione propria della zona, con l’aggettivo Marittimo. La tregua raggiunta, tuttavia, non esaurì completamente la catena degli attriti, che si inasprirono di nuovo allo scadere del secolo, per le faccende solite di caccia e di legnatico: forti contestazioni, inoltre, furono rivolte al conte da parte del Comune per l’alto canone richiesto ai fini della concessione d’uso della sorgente locale.

Poiché dall’acqua dipendeva il miglioramento delle condizioni igieniche, il dissidio assunse tinte particolarmente accese, sfociando addirittura in una causa. Non sorprende, a fronte di tante e tanto gravi contrapposizioni, che nel 1907 il Comune decidesse di ribattezzarsi con il nome di Castagneto Carducci. Se infatti nella scelta va certamente colta l’intenzione di rendere omaggio ad una grande poeta, perpetuando il ricordo della sua permanenza a Bolgheri ed a Castagneto, dove fanciullo soggiornò per molti anni, tornandovi poi come ospite durante la maturità, non va dimenticato che il padre di Giosuè, Michele, un medico chirurgo lungamente attivo in questi luoghi, fu tra i più fermi oppositori dei diritti feudali, vivendo da protagonista la stagione dei fermenti civici che precedette i moti del ’48. Il cognome Carducci pertanto, definitivamente unito al secolare nome del paese, suggella in via emblematica il percorso secolare compiuto dagli uomini di questa terra per la conquista della libertà. 

Castiglione della Pescaia, Grosseto

Le origini del toponimo risalgono a due distinte fasi del periodo alto-medievale. Nell’VIII secolo appariva la denominazione Castelione in riferimento all’insediamento delle Paduline situato presso l’argine del fiume, mentre in un documento dell’814 l’area del più antico insediamento romano delle Paduline risultava denominata Piscaria a Mare. Durante il periodo medievale risulta tuttavia prevalente l’utilizzo del toponimo Castelione anche in seguito alla dominazione pisana, mentre nelle epoche successive fu gradualmente introdotta anche la denominazione Pescaja, accostandola a quella più ricorrente.

L’area in cui si estende il territorio comunale di Castiglione della Pescaia ha riportato alla luce alcune testimonianze preistoriche del Paleolitico superiore, che sono state rinvenute nell’area collinare occidentale (Val Berretta) e sulle propaggini collinari orientali comprese tra la fattoria della Badiola, la località di Ampio e la zona a sud della frazione di Buriano.

Del periodo etrusco le testimonianze di più grande splendore sono state rinvenute presso la frazione di Vetulonia, mentre altri ritrovamenti sono venuti alla luce nella parte occidentale del territorio comunale tra la Val Beretta e Pian di Rocca, zona che risultava già abitata in epoca preistorica. L’area in cui sorge l’abitato di Castiglione della Pescaia risultava essere invece un importante insediamento romano, visti i resti archeologici rinvenuti presso la riva destra del fiume Bruna in prossimità del porto-canale e del moderno abitato, tra i quali spiccano i resti della villa romana delle Paduline. Inoltre, è accertata la presenza di una strada consolare ed una selciata, i cui resti sono andati perduti nel corso del XIX secolo, che dall’abitato romano si dirigevano rispettivamente verso la pineta del Tombolo e verso Giuncarico.

Dopo un periodo di abbandono tra il V e l’VIII secolo, vi fu una graduale rinascita di Castiglione della Pescaia, che prese particolare vigore nel corso del X secolo grazie alla Repubblica di Pisa: proprio in questo periodo fu costruito il primitivo borgo medievale nella parte bassa, che era racchiuso dalle Mura Pisane. Il dominio pisano ebbe inizio a partire dal 962, pur essendoci discontinuità di potere che, sul finire dello stesso secolo, avvantaggiarono inizialmente gli Aldobrandeschi, poi i monaci dell’abbazia di San Salvatore al Monte Amiata. Nel XII secolo l’insediamento castellano passò alla famiglia Lambardi che controllava all’epoca la frazione di Buriano, la cui influenza divenne rilevante in epoca duecentesca. Il centro iniziò una fase di prosperità fino a divenire un libero comune nel XIII secolo. Nel 1274 i Pisani ripresero l’esercizio attivo del potere che si protrasse fino alla fine del XIV secolo, periodo in cui fu istituito il libero Comune di Castiglione della Pescaia, che con un atto di sottomissione a Firenze riuscì a farsi garantire la protezione.

Durante il secolo successivo ebbe termine la lunga fase di libero Comune, a seguito della conquista del castello da parte delle truppe di re Alfonso V d’Aragona; precedentemente ci fu una temporanea occupazione senese durante il 1432. Nel 1449 le milizie del Principato di Piombino riuscirono a liberare l’intero borgo, fatta eccezione del castello che rimase un presidio aragonese. Nel 1460 il castello fu ceduto alla famiglia Piccolomini di Siena, che lo vendette quasi un secolo più tardi (1559) ai Medici, nel cui granducato era entrato a far parte pochi anni prima il rimanente borgo. Il marchesato di Castiglione della Pescaja con le isole del Giglio e Giannutri fu acquistato da Cosimo I il 20 gennaio 1559 per la moglie Eleonora di Toledo dai Piccolomini d’Aragona de’ duchi di Amalfi con il consenso di Filippo II di Spagna.

Si estendeva anche alle Rocchette senza tuttavia avere la proprietà sugli scogli “Formiche della Troja” in possesso dei principi di Piombino che autorizzarono però al granduca la cessione di un’area sulla Punta di Troja per la costruzione di una torre costiera. Fu amministrato in autonomia fino al 1737, dipendendo dalla provincia pisana, finché fu soppresso nel 1765 da Pietro Leopoldo ed annesso al resto dello stato senese.

Dal periodo settecentesco in poi, il centro conobbe una forte rinascita grazie alle opere di bonifica e canalizzazione dell’antico Lago Prile e ai grandi scambi commerciali favoriti dal ruolo di primo piano che il porto di Castiglione della Pescaia aveva assunto in quel periodo. Tuttavia, l’apertura della Ferrovia Maremmana dopo la metà del XIX secolo, che passando nell’entroterra non risultava collegata né al centro né al porto, determinò un improvviso decadimento degli scambi commerciali e del periodo di grande floridezza, che tuttavia furono superati tra la fine dello stesso secolo e gli inizi del XX secolo con lo sviluppo delle prime strutture balneari che costituirono di fatto gli albori delle moderne strutture turistiche che caratterizzano il centro.

Castiglione di Garfagnana, Lucca

Questo borgo appenninico merita una visita perché è un piccolo gioiello, sia dal punto di vista naturalistico che storico. Il suo castello è tra i più suggestivi, quasi “cattivo” per forma e posizione, tanto da essere stato uno degli obiettivi più ricercati nei secoli scorsi. La settimana di Pasqua riserva una processione molto affascinante, quella dei Crocioni, in cui si rievoca la Passione. Cristo viene impersonato da un penitente che, nell’anonimato, percorre la strada con grosse catene ai piedi, tra due ali di folla e in un silenzio irreale.

La storia di Castiglione prende avvio dal primitivo “castrum” costruito dai Romani sul territorio strappato a fatica ai Liguri-Apuani e si sviluppa in epoca longobarda e franca. , ma per trovare notizie più attendibili sulle vicende vissute da Castiglione bisogna varcare l’anno 1000 e giungere al periodo in cui il borgo si presenta già cinto di mura e torrioni, “incastellato”, con la sua imponente Rocca.

Posto in zona di confine Castiglione subì nel tempo numerosi assedi: il primo da parte dei lucchesi nel 1170 che provocò molti danni al castello e la sua resa impegnò poi Lucca alla ricostruzione della fortificazione, elevando Castiglione a sede di Vicaria. Le imposizioni, i balzelli e le prepotenze di Lucca sono le cause che condurranno ad una nuova guerra, provocata da un castiglionese, Rolando, fattosi promotore di una lega di Comuni garfagnini contro Lucca (1227); intervengono,invocati, l’Imperatore Federico II ed il Papa Gregorio IX che impongono la pace del 1228 .

Castiglione viene distrutto una seconda volta e riconquistato da Lucca: molti che temono vendette si rifugiano oltre Appennino, a Frassinoro. Nel 1345 la Vicaria passa alla Repubblica di Pisa: sarà poi Carlo IV di Boemia ( che sostò per alcuni giorni con l’Imperatrice a Castiglione ) a dichiarare libera Lucca con tutte le sue Vicarie dal giogo pisano; datano da allora (1371) le ricostruite poderose mura e la Rocca che oggi vediamo a Castiglione.

Nel periodo di massima espansione la Vicaria di Castiglione andava da Minucciano fino a Fosciandora, ma nel secolo XV inizia il periodo delle “dazioni” e molti Comuni della Vicaria “si danno” spontaneamente al Duca d’Este e Castiglione sarà un’ isola lucchese nella Provincia estense della Garfagnana del Duca di Modena. E’ infatti da Modena che verranno le minacce più pesanti: la prima guerra comprende il periodo 1602-1604 e non vede né vinti né vincitori poiché il Governatore di Milano, in nome del Re di Spagna, impone la pace; la seconda guerra culmina con il durissimo assedio del 1613 in cui il grande spiegamento di forze del Duca di Modena quasi riduce Castiglione alla resa, evitata soltanto dalla pace imposta dal Viceré di Spagna. Arriviamo poi a tempi più vicini, con Napoleone Bonaparte, Maria Luisa di Borbone, Francesco IV di Modena e l’Unita d’Italia.

Certaldo

Sede di insediamenti già in epoca etrusca e successivamente romana, il nome Certaldo deriva probabilmente dal latino “Cerrus Altus”, “altura ricoperta dai cerri. Le prime notizie che si hanno del castello di Certaldo risalgono al 1164, anno in cui, in un diploma dell’imperatore Federico I Barbarossa, viene concesso ai Conti Alberti, nobile famiglia che possedeva numerosi feudi lungo il corso dell’Arno, nella Valdelsa e nella Val di Pesa. Tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, Certaldo passa definitivamente sotto l’influenza di Firenze e il feudo viene confiscato ai Conti Alberti. Dal 1415 al 1784 Certaldo è sede del Vicariato, centro del potere politico in cui veniva amministrata la giustizia per conto di Firenze. Nel territorio sotto la giurisdizione di Certaldo si trovavano la Valdelsa, la Val di Pesa, parte del Chianti e alcune zone del Valdarno.

Certaldo, paese dalla vocazione mercantile, è stata patria della famiglia di Giovanni Boccaccio (1313-1375), celebre poeta e scrittore che qui passò parte della sua vita e morì, nella casa che oggi ospita il museo a lui dedicato. Le spoglie dell’autore del Decameron sono conservate nella chiesa dei Santi Filippo e Jacopo, sotto una lapide che reca un celebre epitaffio del poeta Coluccio Salutati.

Nonostante l’amministrazione comunale, dopo la soppressione del Vicariato nel 1784, abbia risieduto fino al 1866 a Certaldo Alto in Palazzo Pretorio, a partire dal ‘600 è la parte bassa del paese, lungo il fiume Elsa e la via Francigena, a svilupparsi maggiormente. Dopo quella data, con l’apertura del nuovo municipio nella parte bassa, parte degli edifici medievali, tra cui il Palazzo Pretorio, furono venduti a privati che ne fecero rapidamente scempio. Solo agli inizi del 1900 il Comune riacquistò riportandolo agli antichi splendori.

Anche la Propositura di San Tommaso, prima situata nella Chiesa di San Tommaso e Prospero adiacente a Palazzo Pretorio, perse rapidamente di importanza quando venne costruita la nuova chiesa in Piazza Boccaccio nel 1840. Soltanto negli anni ’80 del Novecento, con lo sviluppo dell’economia turistica in Valdelsa, l’interesse verso Certaldo Alto è andato incrementando sempre più.

Il borgo storico, detto “il castello”, è raccolto dentro mura in buona parte conservatesi fino a oggi, su cui si aprono le tre porte di accesso: Porta al Sole, Porta al Rivellino e Porta Alberti. Il borgo è accessibile dalle antiche e ripide, Costa Alberti e Costa Vecchia, o dalla ottocentesca Via del Castello.

La caratteristica principale che distingue Certaldo Alto dai numerosi borghi medioevali toscani è l’assenza della tipica piazza principale su cui si affacciavano tutti i palazzi sede delle autorità civili e religiose: la conformazione stretta ed ellissoidale della collina su cui Certaldo è costruita hanno reso impossibile la costruzione di tale piazza. Il suo ruolo è stato preso dalla odierna via Boccaccio, su cui in effetti si affacciano la chiesa, il Palazzo Pretorio e le ex logge del mercato. Le attuali piazze, infatti, di costruzione ottocentesca, non erano in realtà che orti, che sarebbero serviti per rifornire la popolazione in caso di assedio.

 Cetona

La Storia del rapporto dell’uomo con questo territorio ha inizio intorno a cinquantamila anni fa: gruppi di Neandertaliani frequentarono l’area del Cetona che con le sue grotte offriva un rifugio sicuro e costituiva un’ideale base per la caccia. Con l’avvento del Neolitico l’uomo diede vita ad abitati localizzati in aree favorevoli alla coltivazione e all’allevamento. Nel corso dell’Età del Rame e soprattutto della successiva Età del Bronzo, il territorio di Cetona sembra essere sottoposto a forme di frequentazione più diffusa. Una particolare concentrazione di testimonianze proviene dall’area di Belverde, sul fianco orientale del Monte Cetona: qui un nutrito gruppo di pastoriagricoltori si insediò per quasi tutto l’arco del II millennio avanti Cristo.

Ci sono note le produzioni artigianali, il regime economico, le attività di scambio di questa florida comunità, ma anche le principali manifestazioni spirituali di cui restano ampie tracce nelle numerose cavità naturali presenti nella zona. Sul finire del II millennio a.C. avvenne un lento e progressivo spopolamento delle aree occupate in precedenza, con la fondazione di abitati a quote elevate. Con l’Età del Ferro la vita si spostò nuovamente a valle, verso le naturali vie di comunicazione. In località Cancelli, lungo la strada che taglia il crinale della montagna, nacque un centro rurale rimasto attivo fra il VII ed il VI sec. a.C. Nel VI sec. a.C. fiorì nei pressi di Camporsevoli un insediamento che rimase attivo fino al periodo della romanizzazione. Con l’occupazione romana il territorio venne sfruttato grazie alla costruzione di ville rurali e la fertile vallata di Cetona fu attraversata dalla Via Cassia. In epoche successive, con il progressivo impaludamento della pianura, la strada del crinale tornò ad essere abitualmente percorsa tanto da diventare, si pensa, uno dei tracciati alternativi della Via Francigena.

Il Castello di Cetona è documentato dal primo Duecento come possesso del conte Ildebrandino, soggetto alla sovranità orvietana. A lungo conteso tra Siena, Perugia e Orvieto, nel 1418 fu occupato dal capitano di ventura Braccio da Montone, e, nello stesso anno, venne da questi ceduto alla Repubblica di Siena. Nel 1455 cadde nelle mani di Jacopo di Niccolò Piccinino e delle sue truppe che provocarono danni gravissimi all’abitato. Rientrati in suo possesso, i senesi ne fortificarono le mura e costruirono robuste torri circolari. Cetona rimase fedele a Siena fino all’epilogo della guerra franco-spagnola che segnò il passaggio alla signoria dei Medici. Nel 1558 Cosimo I donò Cetona in feudo al marchese Chiappino Vitelli. Cominciò un lungo periodo di stabilità caratterizzato da importanti interventi urbanistici. Nel 1777 Cetona fu accorpata alla comunità di Sarteano, tornando ad essere autonoma nel 1809, sotto l’amministrazione francese. Durante il periodo risorgimentale, nel 1849 e nel 1867, ospitò Giuseppe Garibaldi a cui in seguito fu dedicata la piazza principale.

Le origini di Piazze risalgono al XVI secolo e sono direttamente connesse alla storia del feudo di Camporsevoli documentato sin dal XIII secolo quale territorio appartenente alla Diocesi di Chiusi. Sottoposto alla protezione di Orvieto durante l’ultimo decennio del XIII secolo, in seguito entrò nell’area di conflitto tra Perugia e Siena. Alla fine del XIV secolo Camporsevoli divenne signoria dei conti di Corbara. Nel 1462 Pio II donò in perpetuo il vicariato di Camporsevoli ai suoi nipoti, Giacomo e Andrea, e ai loro eredi che lo detennero fino agli inizi del Seicento, quando passò sotto l’influenza dei Medici. Il feudo fu ceduto, prima in parte e poi interamente nel 1630, al nobile fiorentino Niccolò Giugni. Con la soppressione napoleonica dei feudi, agli inizi del XIX sec., Camporsevoli, insieme a Piazze, dopo una breve parentesi di accorpamento a San Casciano dei Bagni, entra a far parte del Comune di Cetona.della Valdichiana immerso nel verde del Monte Cetona. Di grande interesse la Piazza di Vitelli, la Chiesa della Collegiata e i palazzi rinascimentali.

Cortona

L’arrivo a Cortona (m 494 slm) dal fondovalle permette di valutarne a pieno l’impianto urbanistico, disposto sul versante del rilievo montuoso che divide la Valdichiana dalla valle del Tevere; inoltre l’ampiezza della cinta muraria, che termina con la fortezza del Girifalco, e la compatezza del tessuto abitato, in pietra biancheggiante, rivelano l’importante ruolo svolto dalla città fin da epoca etrusca.

In tale periodo l’ubicazione e l’ampiezza della città (corrispondente in gran parte all’attuale) erano certamente da mettere in relazione alla situazione economica e produttiva e all’organizzazione viaria della Valdichiana: la valle risultava coltivata e per essa passavano l’importante asse viario congiungente Arezzo con Perugia e l’itinerario che univa la Valtiberina con SIena; all’incrocio dei due assi si trovava appunto Cortona.

Gargonza

Il Castello di Gargonza, splendida testimonianza di borgo agricolo fortificato toscano, con la sua torre, i considerevoli resti delle sue mura e di una porta duecentesca, la sua Chiesa romanica del XIII° secolo con campanile a vela e bifora, le sue abitazioni affacciate sui suoi stretti vicoli è situato su un’altura dominante la Val di Chiana. Oggi è una delle opere fortificate ‘non-colte’ meglio conservate del territorio aretino.

Già nell’orbita di Arezzo come feudo dei Conti Ubertini, a causa della sua importanza strategica per la sua posizione fra la Val di Chiana e il senese, il castello fu nel medioevo oggetto di dispute fra guelfi e Ghibellini, come del resto quasi tutti i fortilizi della zona. Nella sua lunga storia l’evento più importante è forse quello della presenza di Dante Alighieri, guelfo bianco, a Gargonza nel 1304, il quale partecipò alla riunione fra i Ghibellini fuoriusciti da Firenze e gli aretini.

Nel 1307 il castello subì un duro attacco dalle armate fiorentine, ma gli assediati, grazie alla diffusione della falsa notizia dell’imminente arrivo a Firenze dell’esercito del cardinale Orsini, riuscirono ad evitare la capitolazione. Nel 1381 Gargonza fu venduta alla Repubblica Senese ma già quattro anni dopo fu rioccupata dai fiorentini. Gli abitanti del borgo non erano certo soddisfatti del dominio di Firenze e nel 1433 scoppiò una rivolta. Questa causò la reazione armata della signoria fiorentina che rase al suolo il borgo lasciando in piedi solo il cassero, torre merlata che ancora oggi domina l’abitato.

Nel 1546 il castello passò ai Lotteringhi della Stufa e alla fine del ‘600 alla casa dei Marchesi Corsi, antenati degli attuali proprietari, che lo trasformarono in tenuta agricola. Nel XVIII° secolo la politica granducale di bonifica della Val di Chiana si estende anche alle zone collinari della fattoria, ed è interessante osservare come il suo attuale territorio mantiene, con le sue case sparse intorno al Borgo, l’impronta di questo importante intervento di bonifica.

Il periodo agricolo cessò subito dopo l’ultimo conflitto, con la fine della mezzadria, causando l’esodo generale dal paese. Gargonza rimase pressochè disabitata e in rovina. Negli anni Settanta il conte Roberto Guicciardini Corsi Salviati intraprese un lavoro di restauro conservativo al fine di mantenere i valori architettonici di antico borgo medievale in modo genuino.

Giglio Castello (Isola del Giglio)

Il suggestivo borgo del Giglio Castello si erge sulle alture dell’Isola dell Giglio a quota 405 metro slm ed è un antico borgo medievale, la cui atmosfera è rimasta intatta nel tempo. Oggi il Castello è meta turistica d’obbliogo per chiunque approdi all’Isola.

Eretto dai Pisani nel XII sec., più volte ampliato e restaurato dai Granduchi di Toscana, è cinto da imponenti mura intervallate da tre torri a pianta circolare e sette a base rettangolare. È a tutt’oggi pressocchè intatto nel suo interno: Le vie strette, spesso sormontate da archi, i balzuoli (scale esterne per accedere ai piani superiori), la Piazza XVIII Novembre sulla quale domina la Rocca Aldobrandesca, imponente costruzione difensiva, fanno di Giglio Castello una meta suggestiva, dal fascino unico. Quassù, tra l’altro, è particolarmente piacevole godersi la frescura nelle chiare serate estive.

VIII sec. a.C., con l’arrivo degli etruschi, inizia lo sfruttamento intensivo delle risorse minerarie dell’Elba e del Giglio, che forniscono il ferro necessario per la realizzazione di preziosi manufatti.

I-II sec. a.C., la presenza romana è testimoniata dai resti della Villa, con annessa peschiera per murene, appartenente ai Domizi Enobarbi.

410, le case dei patrizi romani ospitano i fuggiaschi dall’invasione dei Goti; giunge in zona, per sottrarsi alla persecuzione dei Vandali, anche Mamiliano, vescovo di Palermo e futuro patrono dell’isola.

805, l’isola è donata da Carlo Magno ai monaci cistercensi di Aquas Salvias, l’abbazia romana delle Tre Fontane.

X-XII sec., il Giglio passa da una famiglia all’altra, gli Aldobrandeschi, i Caetani, gli Orsini, che esercitano il governo per conto di Firenze o Pisa, le potenze che si contendono l’isola; Pisa vi edifica il borgo, la cinta muraria intervallata da torrioni e la rocca, tutti ancora parte integrante dell’abitato.

XIII-XV sec., continua l’alternarsi delle famiglie al potere: il Giglio è dato in “affitto” dai Cistercensi a Pisa, Firenze, Siena, fino al presidio del re di Napoli, che cede la proprietà ai Piccolomini.

1534, prima incursione del corsaro Barbarossa.

1544, il pirata saraceno torna a saccheggiare il Giglio e deporta quasi tutta la popolazione a Tunisi: le cronache parlano di 700 persone fatte prigioniere.

1558, i Piccolomini vendono l’isola a Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I de’ Medici; sotto il governo dei Medici, il Giglio acquista autonomia e stabilità; sono redatti gli Statuti che prevedono la democratica partecipazione del popolo.

1559-63, nuovi attacchi dei pirati saraceni, questa volta respinti.

1737, quale parte del Granducato di Toscana, anche il possedimento del Giglio passa ai Lorena, su decisione delle maggiori potenze europee.

Lamole

Lamole è un piccolo paese in Chianti con un ristorante , un piccolo negozio di alimentari e una Chiesa. É famoso per la vista spettacolare e per la fresca brezza estiva. La strada che sale fino a Lamole ,dal bivio sulla strada tra Greve e Panzano,è essa stessa un attrazione. Delimitata in parte da cipressi , incrocia villaggi ,dirupi a precipizio e antiche fonti.

L’origine del nome Lamole non è chiara. Potrebbe derivare dalla parola “la mole” (masso, pietra), un riferimento all’affioramento di roccia su cui è costruito il castello di Lamole oppure anche al castello stesso, oppure dall’antica parola “lama”, plurale “lame”, che significa bacino sassoso da cui convergono diversi fiumi, in questo caso da cui nasce la sorgente del fiume Greve. Il presente villaggio di Lamole è situato a circa 600 metri sopra il livello del mare, a 500 metri dal castello di Lamole, sovrastante la valle da cui nasce il fiume Greve. È circondato da boschi di castagni e querce, e con un panorama sui vigneti in basso nella valle e una vista spettacolare delle catene di colline ad ovest.

La piccola chiesa romanica di San Donato (13° sec.) è stata ricostruita nel 19° sec.; si tengono ogni settimana dei concerti di musica classica a partire da luglio fino a settembre.

Durante il periodo medievale, Greve in Chianti era semplicemente un “mercatale” (mercato), che esisteva semplicemente in virtù della sua posizione su una parte pianeggiante della valle di Greve a livello di un’intersezione delle strade che uniscono Firenze e Siena con la strada che conduce al Valdarno. È stato un punto d’incontro conveniente per gli abitanti dei castelli e per i numerosi villaggi fortificati delle colline circostanti, ma senza un valore militare. Era ed è più caldo e più umido rispetto alle postazioni sulle colline, una condizione significativa in termini di salute in passato. Le persone di MontefiorallePanzano e Lamole acquistavano e vendevano nella “piazza” triangolare che anche oggi è la piazza principale di Greve.

Montalcino, Siena

Montalcino è una città medievale, si nomina per la prima volta il 29 dicembre 814 quando Lodovico il Pio, figlio di Carlo Magno concede tutto il territorio in feudo ad Apollinare, Abate di S. Antimo. L’attuale centro abitato cominciò ad essere edificato nel 930 e qualche secolo dopo, dentro le mura era come lo è attualmente. (Nel montalcinese comunque sono state ritrovate testimonianze dell’età della pietra, del bronzo, della civiltà etrusca.

Una grande fortezza del VI secolo avanti Cristo è stata riportata alla luce in località Civitella, che interessa studiosi italiani e stranieri). I nostri antenati non edificarono una accozzaglia irregolare di costruzioni ma un abitato originale, signorile, segno di una cultura urbanistica mirata. In questo “irto sito” realizzarono strade “piane e larghe”, piazze “piane e grandi”.

Costruirono nel 1100 oltre quattro chilometri di mura, tredici torrioni a guardia dell’abitato e sei porte. Edificarono strutture monumentali, la cattedrale dedicata a S. Salvatore è dell’XI secolo poi ristrutturata in stile neo classico nel 1818. Il palazzo comunale è del XIII secolo (struttura che non scimmiotta nessun altro del genere), della chiesa di S. Agostino si ha notizia fin dal 1227, di quell’epoca sono anche una parte delle logge di piazza, le Fonti Castellane e poco lontano da Montalcino la celebre Abbazia di S. Antimo del secolo XII. La Fortezza, grande struttura militare è trecentesca.

L’impianto urbanistico, ci ricorda molto vagamente le linee di edificazione romana, la strada principale che dal Nord, (oggi Piazza Cavour) raggiunge Porta Cerbaia a Sud – Cardo – Un’altra importante via che parte da località Vignolo, Est raggiunge l’attuale Via Ricasoli ad Ovest – Decumano – di fatto l’abitato è a forma di croce.

Montalcino, colle incantato e ricco di storia, conserva ancora oggi la sua dignità, una delle componenti che ne alimentano il fascino. I primi segni di un insediamento urbano in questo territorio, alcune suppellettili in pietra (armi ed arnesi usati dalle popolazioni preistoriche) databili al 31000-30000 a.C., sono state rintracciate nelle campagne circostanti.

Alcuni studiosi affermano che dalle testimonianze scritte di Tito Livio e Polibio risulterebbe che sul colle, sul quale sorge oggi Montalcino, sotto il consolato di Lucio Emilio e Caio Attilio, si rifugiarono alcuni soldati romani per sfuggire all’esercito dei Galli. E’ certo comunque che nei dintorni di Montalcino, numerosi ritrovamenti archeologici hanno consentito di tracciare una mappa degli insediamenti risalenti all’epoca etrusca e romana.

Non si hanno notizie sicure dell’ età in cui sorse il primo insediamento in Montalcino: di certo sappiamo che nel periodo alto-medievale i saccheggi e le invasioni perpetrate dai barbari nell’entroterra e dai saraceni nelle città marittime (Roselle 935), spinsero gli abitanti di questi centri a cercare una sistemazione più sicura nell’interno della regione.

La nascita di Montalcino si può quindi far risalire intorno al X secolo, anche se esiste un precedente documento (715), firmato dal re dei Longobardi Liutprando, nel quale si cita la contesa tra la Diocesi di Siena e quella di Arezzo per il possesso di alcune pievi esistenti nel territorio montalcinese.

Abbiamo inoltre testimonianza che nell’814 Ludovico il Pio concesse la giurisdizione su Montalcino all’Abbazia di Sant’Antimo. Per la sua posizione strategica, Montalcino divenne nel 1110 una roccaforte della Repubblica di Siena che la fortificò con possenti mura in occasione della guerra contro Orvieto e Montepulciano. Fino alla prima metà del XIII secolo, Siena e Firenze si alternarono nella dominazione di questo centro; nel 1211 fu stipulato un accordo tra l’Abate di Sant’Antimo, i Senesi e gli abitanti di Montalcino, che prevedeva la cessione di una parte del territorio ilcinese a Siena. Nel 1252 Montalcino è di nuovo libera dalla dominazione senese ed alleata coi fiorentini che la difesero con successo dall’assedio posto dai senesi per impadronirsi della cittadina.

La situazione si delineò definitivamente con la battaglia di Montaperti (4 settembre 1260), vinta dalla coalizione ghibellina toscana capeggiata da Siena contro i guelfi fiorentini, in conseguenza della quale Montalcino entrò definitivamente nell’orbita d’influenza senese. Dovette passare un secolo tuttavia affinché i montalcinesi diventassero a tutti gli effetti cittadini della Repubblica di Siena (1361) e ottenessero agevolazioni di dazi e gabelle. Siena fece così del luogo un importante caposaldo difensivo, costruendo in soli due anni la rocca (1361-1363), simbolo della dominazione senese in Montalcino e rinforzando notevolmente le mura difensive.

Nel 1462 Montalcino fu elevata al grado di città ed eretta a diocesi insieme a Pienza da Papa Pio II Piccolomini.

Nel 1553 la cittadina subì l’ultimo grande assedio della sua storia da parte della milizie di Carlo V, alleate dei Medici e capeggiate da Don Garcia di Toledo. Nel 1555, quando Siena, protetta dai francesi, capitolò alle truppe medicee, famiglie di esuli senesi guidate da Pietro Strozzi, fondarono la Repubblica di Siena in Montalcino che ebbe vita fino al 1559; in quell’anno infatti con il Trattato di Cateau Cambrésis, venne stipulata la pace tra Francia e Spagna ed i relativi alleati; la Repubblica di Siena, di cui Montalcino faceva parte, fu annessa definitivamente al Granducato di Toscana, di cui da allora in poi la cittadina seguì le vicende fino all’annessione al Regno d’Italia, avvenuta con il plebiscito del 1860.

Montefioralle

I nostri vigneti sono situati alle pendici meridionali del colle dove sorge il borgo medievale di Montefioralle. I vigneti sono disposti su diversi terrazzamenti, esposti a sud-est e si trovano a circa 400 metri sul livello del mare. Il suolo è ricco di scheletro, principalmente alberese e quindi calcareo, e gode di un’ottima capacità drenante permettendo alle viti di spingere in profondità le proprie radici.

Il territorio di Montefioralle può essere considerato un vero e proprio “cru” in termini di composizione del terreno e microclima e i vini prodotti dalla nostra azienda, come quelli dei nostri vicini, presentano un carattere unico e distintivo tra i grandi rossi del Chianti Classico.

montefioralle street
Montefioralle

IL BORGO: Il castello di Montefioralle (in origine Monteficalle) si trova al centro di una zona che non manca di testimonianze di vita romana. L’origine del castello risale al 931 circa. Nel suo viaggio da Cluny a Roma il Monaco tedesco Tanchelmo fondò sulla collina di Montefioralle un monastero fortificato, sullo stile dell’architettura militare germanica. Il castello è ricordato per la prima volta in un documento del 1085. Appartenne alle famiglie: dei Ricasoli, dei Benci, dei Gerardini, e dei Buondelmonti. Nel 1325 Castruccio Castracani prese con la forza l’abbazia fortificata e modificò l’architettura dell’insieme: rinforzò la cinta con un secondo ordine di mura e aumentò il numero delle torri.

Successivamente il castello passò sotto il controllo di Firenze, poi di Siena, poi definitivamente di Firenze. Conservò a lungo una certa importanza politica: in esso avevano sede un Municipio, l’ospedale di S. Maria del Bigallo e per lungo tempo amministrò e controllò le terre circostanti.La famiglia Vespucci ha posseduto una casa nel borgo di Montefioralle. Ciò ha determinato la credenza che il celebre Amerigo Vespucci, il navigatore che scoprì l’america possa avere avuto qui i natali. In realtà non esiste nessun documento che possa comprovare l’appartenenza dalla casa alla famiglia Vespucci all’epoca di Amerigo a fine del 1400.

Montepulciano, Siena

Il borgo di Montepulciano è situato nel Sud-Est della Toscana ed ha una storia che vanta origini antichissime e che ha condotto il prestigio dei suoi costumi e delle sue tradizioni sino alla nostra epoca. Le numerose influenze che contraddistinsero la fisionomia della città sono evidenti dal suo nome, deformazione romana dell’etrusco purth che significava comandante o generale.

Le origini di Montepulciano e i suoi primi passi nella storia

Anche se sono stati trovati dei reperti preistorici nell’area, a suggerire uno stanziamento già presente all’epoca, il comune di Montepulciano, secondo i reperti e i documenti esaminati da alcuni storici e ritrovati nei pressi della Fortezza nel 1989, nasce tra il III e il IV secolo a.C. come insediamento della popolazione etrusca e in particolare da Porsenna, Lucumone di Chiusi. L’epoca romana invece vede Montepulciano costituire uno snodo importante per la protezione della viabilità della Repubblica e dell’Impero. Tuttavia, le prime citazioni documentali nella storia a riguardo di Montepulciano risalgono all’epoca longobarda, tra gli anni 713 e 715, con il nome di Mons Politianus – Castello Policiano.

Montepulciano nelle lotte medioevali tra Siena e Firenze

Durante il Medioevo, Montepulciano fu contesa per secoli tra Siena e Firenze (e Perugia), e l’incantevole borgo toscano divenne teatro delle lotte fra le più potenti famiglie locali, sino all’avvento dei Del Pecora. Nel 1390 Montepulciano sancì una stabile e pacifica alleanza con Firenze, in qualità di baluardo contro Siena e questo portò per la città un periodo aureo della durata di due secoli, contraddistinto da stabilità politica e prestigi artistici e culturali. Furono erette chiese e abbelliti edifici in quest’epoca nella quale ebbe rilievo la figura dell’umanista Bartolomeo Aragazzi, segretario del poeta Angelo Poliziano.

Dal ‘700 alla modernità

Il destino di Montepulciano seguì in larga misura quello di Firenze e nel XVIII secolo, il comune si segnalò per la fioritura dell’Accademia degli Intrigati, associazione culturale che apportò numerose migliorie alla zona. La ri-colonizzazione agricola e la bonifica della Valdichiana (iniziata nel XVI secolo sotto i Medici, ma realizzata compiutamente tra XVIII e XIX secolo sotto Pietro Leopoldo dei Lorena-Asburgo, dopo molti scontri tra Granducato di Toscana e Stato Pontificio e grazie anche alla costruzione del canale maestro della Chiana) favorì la ripresa dell’economia e l’avvento della moderna Montepulciano, patria di tradizioni e di buon vino. Nel 1984 inoltre Montepulciano passò dalla provincia di Arezzo a quella di Siena.

 Monteriggioni

Il Castello di Monteriggioni fu costruito dai senesi, per ordinanza del podestà Guelfo da Porcari, in un periodo compreso tra il 1214 e il 1219. Il terreno, acquistato dalla Repubblica Senese, era la sede di un’antica fattoria Longobarda (la denominazione di Montis Regis probabilmente indicava un fondo di proprietà regale o che godeva di esenzioni fiscali da parte della corona). La costruzione del castello ad opera della Repubblica di Siena ebbe principalmente scopo difensivo, in quanto il borgo sorse sul monte Ala in posizione di dominio e sorveglianza della Francigena, per controllare le valli dell’Elsa e dello Staggia in direzione di Firenze, storica rivale di Siena.

L’edificazione praticamente ex novo di un castello rappresentava una novità nella politica espansionistica senese: in precedenza, infatti, la città aveva acquistato castelli già esistenti, come quello di Quercegrossa. Il tracciato circolare delle mura fu ottenuto semplicemente seguendo l’andamento naturale della collina.

Non c’è accordo degli storici sull’eventuale presenza del ponte levatoio. Certa è invece la presenze delle saracinesche, ovvero spesse porte di legno ricoperte di ferro che venivano azionate tramite carrucole. Anche oggi le due porte presentano i segni dei cardini e delle buche causati delle stanghe di chiusura. Sulla porta a ponente si possono anche notare i segni del rivellino, un’altra struttura difensiva di forma rettangolare collocata di fronte alla porta e anch’essa dotata di una seconda porta.

Il Castello di Monteriggioni era inoltre circondato dalle cosiddette carbonaie, ovvero fossati pieni di carbone e legna che veniva incendiato per respingere gli assalti. È ovvio che dei fossati pieni di acqua, come si vede in molte ricostruzioni medioevali, in cima ad una collina erano impossibili.

Dopo l’edificazione del castello i fiorentini e i senesi si batterono per il suo possesso nel 1244 e nel 1254 ma le mura del Castello resistettero sempre agli assalti guelfi. Nel 1269, dopo la battaglia di Colle (ricordata da Dante nel XIII canto del Purgatorio), i senesi sconfitti si rifugiarono a Monteriggioni, assediato, ma invano, dai fiorentini.

In seguito alla peste del 1348 – 1349 i senesi decisero di far risiedere a Monteriggioni un capitano con alcuni fanti per proteggere la popolazione dai malfattori che imperversavano nella zona. Nel 1380, secondo quanto si può leggere negli statuti “del comune et uomini di Monteriggioni”, gli abitanti di Monteriggioni erano considerati “Cittadini di Siena”. Nel 1383 un gruppo di esuli senesi si impadronirono del Castello con l’inganno, ma si arresero poco dopo.

Tra il 1400 e il 1500 furono interrate le mura per resistere meglio ai colpi dell’artiglieria. Si rese quindi inutile anche l’utilizzo delle carbonaie. Nel 1526 i fiorentini assediarono Monteriggioni con 2000 fanti e 500 cavalieri, bombardando le mura con l’artiglieria. Il Castello di Monteriggioni però resistette e, il 25 luglio di quello stesso anno, nella battaglia di Camollia, i senesi sconfissero l’esercito pontificio, alleato dei fiorentini, che interruppero immediatamente l’assedio.

A metà del 1500, all’interno dello scontro che in Europa contrappone Carlo V d’Asburgo, Re di Spagna ed Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico ad Enrico II di Valois Re di Francia, si ha l’episodio della guerra di Siena dove i senesi alleati della Francia si contrappone ai fiorentini alleati di Carlo V. Il 27 aprile del 1554 Monteriggioni venne ceduto a tradimento, senza alcun combattimento, dal capitano Giovacchino Zeti, fuoriuscito fiorentino, al Marchese di Marignano comandante delle truppe imperiali. Dopo la caduta di Monteriggioni nella primavera del 1555 cadde anche la città di Siena. Questo episodio è considerato dagli storici come l’evento che segna il termine dell’epoca comunale in Italia.

Il 2 e 3 aprile 1559, dopo la morte di Carlo V (1558), con il trattato di pace di Cateau-Cambrésis si conclude tra le due potenze egemoni il lungo conflitto franco-spagnolo. In esecuzione di quel trattato, anche l’ultimo baluardo senese costituito dal presidio di Montalcino venne rilasciato da Filippo II di Spagna al ducato fiorentino. Così Cosimo I de’ Medici impose la sua signoria sul territorio e gli abitanti di Monteriggioni. Monteriggioni fu poi ceduta dai Medici alla famiglia Golia e attraverso vari altri passaggi fra famiglie nobili alla famiglia Griccioli, che tuttora mantiene possedimenti nel castello e nelle campagne circostanti.

Le mura hanno subito un importante intervento a cavallo fra gli anni 20 e 30 del XX secolo con la ricostruzione delle torri che erano state abbattute nei secoli precedenti. L’attuale Comune è quello che risulta dall’atto del Granduca di Toscana del 1777 che il 2 giugno accorpava 3 comunità, Monteriggioni, Santa Colomba e Strove, e 13 comunelli, che erano: Chiocciola e RicianoAbbadia a IsolaBascianoMontautolo del BoscoCastiglioncello dell’EredeFungaiaLornano e Campo di FioreGardinaSanta Maria al PoggiuloPieve al CastelloSanto al ColleSan Fiore a Strove o ScorgianoCastiglion Ghinibaldi o Castiglioncello Piccolomini andando a formare l’attuale entità amministrativa e territoriale.

Vari sono stati i tentativi da parte del Comune di Siena di annettere l’intero territorio di Monteriggioni. In due riprese Siena aveva annesso i territori del Comune della Masse di Camollia prima e poi del Comune delle Masse. L’ultimo tentativo verso Monteriggioni risale al 1904 quando l’allora Sindaco, Icilio Bandini, respinse insieme alla sua Giunta tale richiesta.

La sede del Municipio fino agli anni ’50 era collocata a Fontebecci, nei locali attualmente sede della Banca del Chianti, ex Banca Monteriggioni, all’estremo confine a ridosso del Comune di Siena. Solo dopo la costruzione dell’attuale sede fu traslocato alla Colonna di Monteriggioni, ai piedi della collina sotto il Castello.

Montescudaio

Numerosi reperti archeologici testimoniano la presenza di un nucleo abitato a Montescudaio fin dall’epoca villanoviana, ma il primo documento scritto riferito al paese risale al 1092: è l’atto con il quale il Conte Gherardo Della Gherardesca donò al Monastero da lui fondato l’anno precedente e appartenente alle monache benedettine, la chiesa di San Andrea che era dentro al castello, oltre a una serie di benefici, riservando per sé il diritto di eleggere in perpetuo la Madre Superiora. 

Sempre legati al rapporto Gherardesca – Monastero sono tutta una serie di documenti che testimoniano lo stretto legame tra i conti che risiedevano a Pisa ed il Castello. Tra l’altro ebbe il titolo di Contessa di Montescudaio, Monna Bombaccia Della Gherardesca, poetessa del ‘200 ricordata anche da Giovanni Sercambi nelle sue “Novelle”. Il Castello in effetti fu per lungo tempo feudo dei Della Gherardesca del ramo di Settimo di Pisa (l’attuale San Frediano a Settimo) che anche per questo furono Vicari della Repubblica Pisana su gran parte della zona dell’alta Maremma.

Essi però condussero azioni assai spregiudicate contro Pisa, ribellandosi una prima volta all’epoca dell’invasione da parte di Luchino Visconti nel 1345. Successivamente, prevenendo la disfatta pisana, nel 1406 si sottomisero a Firenze: in cambio di questo gesto i Della Gherardesca furono eletti Vicari. I Della Gherardesca, tuttavia, tradirono in seguito anche Firenze. Nel 1447 appoggiarono infatti l’invasione del re di Napoli Alfonso d’Aragona. Alla fine della guerra con Napoli, nel 1479, Firenze si vendicò confiscando i beni del Conte Fabio e di fatto privando dei loro diritti sul Castello la nobile famiglia. Il paese fu costituito in comunità e ai Conti di Montescudaio restarono solo i beni allodiali. Durante l’invasione e il saccheggio di Montescudaio da parte del Conte Orsini di Pitigliano che comandava le truppe fiorentine, furono le stesse autorità del Comune che trattarono la resa evitando la distruzione del Castello dietro pagamento di una cospicua somma di denaro. Dal 1407, infatti, Montescudaio aveva avuto da Firenze la concessione di statuti propri. 

Da questo momento Montescudaio rimarrà sempre fedele a Firenze, non partecipando nemmeno all’ultimo tentativo di ribellione sul finire del secolo XVI. Sotto il Granducato mediceo Montescudaio conservò l’autonomia statutaria, anche se non senza qualche contrasto con Firenze, tant’è che gli statuti del 1538 (comuni a Guardistallo e Casale) furono approvati dal governo fiorentino solo il 20 Gennaio 1550. Con le rinfeudazioni medicee, il 10 maggio 1648 il Granduca Ferdinando II° concesse il castello di Montescudaio in feudo col titolo di Marchesato a Ferdinando di Niccolò Ridolfi con diritto di perpetua primogenitura o, in caso di mancata discendenza, con facoltà di nominare il proprio erede. Questo evento si verificò alla morte del Marchese Ferdinando che, senza figli, nominò a succedergli il fratello Pietro. Erede di Pietro fu il figlio Niccolò, che morì anche lui senza eredi il 30 novembre 1727. A questa data il Castello rientrò in possesso della Camera gGranducale. Fu l’ultimo dei Medici, Giangastone, a rinfeudarlo il 30 settembre 1735 a Cosimo Ignazio Ridolfi. Francesco II° di Lorena riconfermò l’investitura feudale nel 1738. Risale a questo periodo anche la soppressione dell’antico monastero benedettino; il suo ingente patrimonio passò alla Chiesa di San Andrea dentro il Castello, che assunse il titolo di Abbazia di Santa Maria con la giurisdizione su sei chiese dei comini vicini. Durante il periodo del marchesato si assiste ad una progressiva decadenza del comune, testimoniata anche dal dimezzamento della popolazione. 

Al censimento del 1551 Montescudaio contava 114 famiglie e 606 persone. Quando ci fu il ritorno ai Ridolfi le famiglie erano 87 e le persone 368. Ciò fu indubbiamente dovuto allo stato di abbandono che la Maremma settentrionale subì, ma l’evento non era ineluttabile. Contemporaneamente ai Ridolfi, infatti, e con un territorio che quasi circondava il marchesato, fu infeudato il Ginori, che promosse una vera e propria rinascita della zona. I Ridolfi esercitarono invece gli ampi poteri di cui erano investiti sopratutto in modo da accaparrarsi tutte le risorse del territorio, scontrandosi con i suoi abitanti. Ne sono una testimonianza gli Atti Criminali conservati nell’Archivio Comunale di Montescudaio, che riportano le continue liti tra la popolazione del castello e i marchesi. 

I Ridolfi, per quanto privati della stragrande maggioranza dei loro privilegi con la legge sui feudi del 1749, rimasero formalmente feudatari e residenti a Montescudaio almeno fino al 1778. Dal punto di vista amministrativo, Montescudaio insieme a Riparbella, Guardistallo, Casale e Bibbona faceva parte del Vicariato di Campiglia dove risiedeva il Capitano per le cause criminali, mentre a Bibbona si trovava l’ufficiale per le cause civili o miste. Questa organizzazione, che risaliva ad uno statuto della Repubblica fiorentina del 1415, rimase sostanzialmente immutato fino al 1772.

In quell’anno, con la legge del 30 settembre relativa alla riorganizzazione della giustizia e delle giurisdizioni, fu istituita la Podesteria di Guardistallo, cui passò la competenza per le cause civili. Fino alla legge del 3 marzo 1848 di Leopoldo II°, furono fatte parziali modifiche all’assetto sopra descritto. In particolare, nel 1833, Rosignano venne elevato a Vicariato e Montescudaio entrò a farne parte insieme ai comuni sopradetti, oltre a Castellina e Orciano. Nel 1838 la Podesteria fu spostata da Guardistallo a Bibbona. Intanto era iniziata anche a Montescudaio una lenta ripresa della popolazione. Nel periodo francese infatti, il dato è relativo al 1809, dai 404 abitanti del 1745 si era passati a 552.

Pienza, Siena

Pienza, la città di Pio. Questa cittadina situata nel cuore della Val D’Orcia, è considerata l’incarnazione dell’utopia rinascimentale della città ideale. Ottenuto il riconoscimento di sito Unesco nel 1996, ancora oggi comunica al mondo i canoni urbanistici del Rinascimento per l’organizzazione razionale degli spazi e delle prospettive di piazze e palazzi cinquecenteschi.

La storia di Pienza è strettamente legata al suo fondatore: Papa Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini, che vi nacque nel 1405 da genitori membri della nobile famiglia senese che i rovesci politici avevano confinato nella proprietà di campagna. L’allora Corsignano era una borgata fortificata già conosciuta in epoca romana che, ancor prima, remoti abitatori avevano scelto come residenza primitiva lasciando tracce abbondanti del loro passaggio, riferibili all’età del neolitico superiore e del bronzo.

Enea Silvio Piccolomini, umanista raffinato e insigne, intrapresa la carriera ecclesiastica e divenuto Papa, volle che in questo luogo, che aveva visto la sua nascita, sorgesse una città il cui nome ricordasse il suo papato. II Piccolomini non voleva una città qualunque ma un centro urbano fortemente degno e in ideale antitesi con l’altra città che l’aveva, con la sua famiglia, ingiustamente emarginato: Siena. Pretese così che architetti famosi e artisti di grido lavorassero ad un progetto nel quale fossero impliciti i canoni costruttivi e filosofici di un’età che si apriva ricca di promesse: il Rinascimento italiano.

In soli tre anni, dal 1459 al 1462, sorse Pienza, la Città d’Autore, la Città Ideale, la Città Utopia. La città “nata da un pensiero d’amore e da un sogno di bellezza” come scrisse Giovanni Pascoli. Difficile dire che cosa sarebbe diventata Pienza, se il Papa non fosse prematuramente scomparso alla vigilia di una crociata contro i musulmani. Era il 14 agosto 1464.

In tre anni e mezzo il nucleo e qualcosa di più della “città di Pio” era ormai nato. “Corsignan de’ Ladri”, la borgata di frontiera che già il Boccaccio aveva ricordato nella sua celebre novella di Cecco di Fortarrigo, poteva cambiare nome e immagine grazie al suo grande protettore.

Pitigliano

Pitigliano è situato a 313 metri sul livello del mare su un promontorio tufaceo di suggestiva bellezza, delimitato da valli verdissime percorse dai fiumi Lente e Meleta.
Il nome Etrusco non è conosciuto, forse trattasi di quella Statnes (o Staties) che in epoca romana divenne Prefettura e fu detta Statonia.
La denominazione Pitigliano sembra invece derivare dalla gens Petilia, importante famiglia romana che dette il proprio nome a diverse località. Secondo un’antica leggenda, la fondazione della città sarebbe dovuta a due romani: Petilio e Celiano; dalla fusione dei loro nomi sarebbe derivato Pitigliano

Storia

2300-1000 a.C., è documentato un villaggio dell’età del bronzo, ma la rupe di Pitigliano, come tutta la valle del fiume Fiora, fu frequentata sin dal Neolitico (VI millennio a.C.) e poi nell’età del rame.
VIII sec. a.C., l’insediamento etrusco, dovuto alla vicina città di Veio, raggiunge l’apogeo nel VI sec., sostituendo il vicino centro di Poggio Buco posto sulla Fiora, che ha restituito necropoli e resti di un tempio; intorno al 500 a.C. è probabilmente distrutto da Porsenna, re di Chiusi.
I sec. a.C.-II d.C., la presenza romana, con fattorie e villaggi posti sulle strade principali, è segnalata da vari interventi costruttivi nel pianoro di fronte alla rupe di Pitigliano.
1061, appare per la prima volta il toponimo Pitigliano in una bolla di Nicola II ai canonici di Sovana.
1188, in un altro documento, Pitigliano compare come castro (borgo fortificato) in possesso dei conti Aldobrandeschi, signori di tutta la Maremma, cui appartiene da poco dopo il Mille.
1274, Pitigliano risulta uno dei maggiori fortilizi della contea degli Aldobrandeschi nelle guerre con il Comune di Orvieto.
1313, gli Orsini subentrano per via matrimoniale agli Aldobrandeschi nella Contea di Sovana; costretti a lunghe lotte con i Comuni prima di Orvieto e poi di Siena, dopo la conquista da parte di quest’ultima di quasi tutta la Maremma, compresa Sovana nel 1410, gli Orsini spostano a Pitigliano la capitale della contea.
1466, la piccola contea ursinea acquista forza con l’avvento al potere di Niccolò III, capitano di ventura al servizio dei maggiori Stati italiani; con lui Pitigliano si arricchisce di monumenti rinascimentali, a cui lavorano artisti come Antonio da Sangallo, Baldassare Peruzzi, Anton Maria Lari.
1604, Ferdinando I, granduca di Toscana, acquista tutti i possedimenti degli Orsini: finisce così la contea di Pitigliano; dalla metà del secolo comincia a crescere il numero degli ebrei, che qui trovano rifugio sicuro; nel 1643 i Medici sventano un tentativo di occupazione da parte delle truppe pontificie.
1843, Pitigliano assume il titolo di città con il trasferimento della Diocesi da Sovana e grazie alla crescita economica seguita alle riforme illuministiche.

Poppi

Il territorio del comune di Poppi, nel Valdarno casentinese, si estende per 97,03 kmq dal crinale dell’ Appennino tosco – romagnolo al fondovalle attraversato dall’Arno, tra pianura, collina e montagna. Il centro è situato su un poggio terrazzato dal quale domina la piana di Campaldino e l’alta valle dell’Arno. Feudo dei conti Guidi da Battifolle, divenne poi sede di vicariato.

Il primo ricordo storico di Poppi risale al 1169, essendo citato in un documento della badia di San Fedele di Strumi, ma è del 1191 l’atto più significativo: un diploma dell’imperatore Arrigo VI con cui vengono confermati in feudo al conte Guido Guerra dei Guidi molti castelli tra Romagna e Toscana fra cui Poppi, Battifolle, Porciano; da allora, per quasi tre secoli, la storia di Poppi è strettamente connessa con quella dei suoi signori, che furono a lungo fra le più potenti schiatte feudali toscane, spesso protagonisti dei principali avvenimenti politici fiorentini nel XII e XIII secolo.

Castello di Poppi

Nel 1261 il conte Simone cinse l’abitato di mura e iniziò la costruzione del palazzo, terminata verso la fine del secolo da suo figlio Guido. Aderenti alla fazione ghibellina, i Guidi di Poppi furono costretti, dopo la morte di Manfredi (1266), a fare atto di sottomissione ai guelfi dominanti in Firenze. L’11 giugno del 1289, a poca distanza dalle mura del castello, nella piana di Campaldino, si svolse la storica battaglia tra fiorentini e aretini, che sanzionò il predominio di Firenze e dello schieramento guelfo in Toscana, seppure per il momento senza nessuna concreta acquisizione territoriale. L’anno successivo i fiorentini, reduci da un’infruttuosa spedizione contro Arezzo, devastarono il Casentino, dando fuoco al castello di Poppi, in odio al conte Guido Novello che era stato vicario generale del re Manfredi a Firenze. Finalmente nel 1440, durante l’incursione delle soldatesche milanesi comandate da Niccolò Piccinino, il conte Francesco dei Guidi che aveva favorito i nemici di Firenze, dopo la vittoria dei fiorentini ad Anghiari fu assediato nel suo castello e costretto alla resa. Passato in possesso della repubblica fiorentina, Poppi divenne sede di un vicariato la cui giurisdizione abbracciava l’intero Casentino. Tra i suoi illustri figli ricordiamo lo scultore Mino, detto da Fiesole (1430 ca.-1484), il pittore Francesco Morandini, detto il Poppi (1544-1597) e il libero pensatore e poeta Tommaso Crudeli (1703-1745). Nel territorio comunale sono i ruderi dell’abbazia, prima benedettina poi vallombrosana, di Strumi (x secolo) e l’eremo di Camaldoli, edificato all’inizio dell’XI secolo da San Romualdo, vicino al crinale appenninico, circondato da folti boschi di abeti e di faggi.

Populonia

Il borgo veniva chiamato, Pupluna o Fufluna, dall’etrusco puple, «germoglio», da cui Fufluns, dio etrusco del vino e dell’ebbrezza: il terreno, geologicamente simile all’Elba, e la vicinanza al mare hanno consentito, sin dall’antichità, produzioni vinicole di qualità.

Populonia, una frazione di Piombino, è stata in antichità una delle più grandi ed importanti città etrusche e fu l’unica ad essere costruita sul mare, lungo il litorale toscano.
La sua posizione geografica, al centro delle rotte commerciali del Mediterraneo occidentale, le risorse metallifere dei monti del Campigliese e i ricchi giacimenti di minerale di ferro dell’isola d’Elba determinarono, sin dall’epoca eneolitica (IV-III millennio a.C.), la prosperità della città-stato e del suo territorio. Secondo quanto tramandato dai geografi greci Strabone e Tolomeo, l’abitato antico era composto da due nuclei distinti: la città alta, sviluppata sulle sommità dei Poggi della Guardiola, del Telegrafo e del Castello, nella quale – oltre alle abitazioni – sorgevano i templi e gli edifici pubblici dell’acropoli, e la città bassa, in prossimità del golfo, che ospitava il porto, sede delle attività mercantili e siderurgiche.
Populonia era protetta da due cinte murarie, quella dell’acropoli e quella della città bassa.
Il Parco archeologico di Baratti e Populonia allaccia le grandi necropoli di Baratti, costruite a pochi metri dal mare, alle strade selciate e all’Acropoli, memoria del periodo di dominazione romana e sito archeologico in continua espansione.
Sulla sommità del promontorio di Piombino si trova il Borgo di Populonia racchiuso da mura e dominante sul Mediterraneo: il torrione che sovrasta il castello di Populonia è un rivellino merlato, un’architettura militare degli anni quattrocenteschi degli Appiani, signori di Piombino. Lo stemma degli Appiani è tuttora visibile sull’arco d’ingresso al borgo. Passando attraverso l’unica porta di accesso ricavata nella cinta muraria, ci si trova immersi in una piccolo gioiello, che rappresenta un esempio di perfetta integrazione tra antico e moderno: gli edifici del borgo medievale, oggi ospitano botteghe di artigianato e prodotti locali, strutture di ristoro inserite all’interno delle architetture medievali senza stravolgerne troppo l’aspetto originario.
Dalla piazzetta con la piccola chiesa di Santa Croce, si accede alla torre del Castello dalla quale si può ammirare un panorama a 360° di tutto il promontorio: dalle tracce di un passato glorioso etrusco e romano fino alle isole dell’arcipelago Toscano ed alla Corsica.
Il borgo ospita il Museo di Populonia Collezione Gasparri, collocato all’interno degli spazi dell’ex frantoio, dove sono esposti i reperti provenienti dalla collezione privata della famiglia Gasparri concessi dallo Stato agli inizi del ‘900 come premio di rinvenimento per gli scavi effettuati nei terreni di loro proprietà nel golfo di Baratti.
Nei boschi a poca distanza, recenti scavi archeologici hanno restituito dignità al monastero benedettino di San Quirico. Questo centro religioso, sorto attorno all’anno mille nella macchia più profonda del promontorio, è l’anello storico che permette di collegare i tempi degli etruschi e dei romani di Populonia al Medioevo di Piombino. Le rovine del chiostro e della chiesa sono state liberate dai grovigli della vegetazione e raccontano oggi un altro frammento della storia del promontorio.

Porto Ercole

Furono i Focesi, una popolazione della Grecia antica devota a Ercole, a dare nome al luogo, nel quale riconobbero una somiglianza con la baia della loro terra d’origine. Secondo altri il nome viene dagli Etruschi, come dimostrerebbe la necropoli posta a monte di Cala Galera, collocata nel settore dello zodiaco etrusco corrispondente alla costellazione di Ercole.

VII sec. a.C., gli Etruschi della vicina città di Cosa costruiscono il porto Cosanus; prima di loro è segnalata una presenza fenicia.
217 a.C., settanta vascelli cartaginesi catturano presso Porto Ercole un convoglio romano che trasporta viveri e vettovaglie destinate all’esercito impegnato in Spagna.
II sec a.C., la Repubblica Romana vende i territori del promontorio alla famiglia dei Domizi Enobarbi, di professione Argentarii, cioè prestasoldi, banchieri, da cui il toponimo di Monte Argentario.
XI sec. d.C., con una donazione (falsa) di Carlo Magno, Papa Leone III toglie il territorio ai conti Aldobrandeschi di Sovana e lo cede fino al 1232 all’ordine monastico dei Santi Anastasio e Vincenzo.
1416, sotto il dominio di Siena sono erette le mura ed è ampliato il sistema di torri costiere; i vigneti del promontorio attraggono i mercanti; Carlo VIII offre a Siena 30mila fiorini d’oro per il possesso di Talamone e Porto Ercole.
1526, Andrea Doria, al servizio di Papa Clemente VII, devasta Porto Ercole e se ne impadronisce; nel 1529 la ribellione della popolazione contro il Papa riporta al potere Siena; nel 1544 il corsaro Barbarossa, al comando della flotta ottomana, assedia Porto Ercole, distrugge le fortificazioni e rende schiavi cinquanta abitanti.
1555, coinvolto nella guerra di Siena, alleata della Francia, contro Spagna e Firenze, Porto Ercole si arrende all’assedio guidato dal Marignano e da Andrea Doria; la battaglia è raffigurata nell’affresco del Vasari in palazzo Vecchio a Firenze; nel 1557 con il trattato di di Cateau-Cambresis il territorio passa alla Spagna come “Stato dei Reali Presidii”.
1610, il 18 luglio muore sulla spiaggia o, più probabilmente, nell’ospedale di Santa Maria Ausiliatrice, Michelangelo Merisi detto Il Caravaggio.
1698, nasce Giacomo Nani, pittore di nature morte e paesaggi.
1815 con il Congresso di Vienna lo Stato dei Presidii entra a far parte del Granducato di Toscana, fino all’Unità d’Italia.

San Casciano dei Bagni

Nella Val di Chiana senese, San Casciano ai Bagni è un piccolo gioiello nascosto. Sembra quasi non esistere visto che è sovrastato dal Monte Cetona che gelosamente lo custodisce. Merita una visita per viverne la tranquillità e la calma. Perdetevi nelle stradine del centro storico per ammirare i resti delle mura di cinta e la Collegiata di San Leonardo. Nel paese troverete anche le terme gratuite dove la temperatura delle piscine è sempre di 40°.

San Gimignano

Se sei più appassionato di architettura, devi assolutamente passare per San Gimignano. Il paese si distingue per il gran numero di torri che vi sono costruite e per questo viene considerata la Manhattan del Medioevo. Dal 1400 a oggi è rimasta intatta, facendola eleggere patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Il borgo perfetto se vuoi fare un salto nel passato e vivere emozioni di altri tempi.

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San Miniato

Situato lungo la via Francigena, l’illustre città del tartufo bianco è una delle tappe più interessanti del Valdarno Inferiore. Dominato dalla rocca di Federico II, il borgo etrusco-romano è costellato di splendide chiese e palazzi e vanta una piazza dalla forma unica.

San Quirico d’Orcia, Siena

È una cittadina che si trova lungo la Via Francigena: piuttosto piccola ma decisamente iconica. La Collegiata è una testimonianza romanica del XI° secolo e il suo profilo è caratteristico quasi quanto quello dei cipressi più fotografati al mondo. A soli 4 km si trova Bagno Vignoni. Al suo centro c’è la Piazza delle Sorgenti: una grande vasca alimentata da una rinomata sorgente di acqua termale calda. A poca distanza si trova il Parco dei Mulini, un’area naturale protetta, caratterizzata da mulini in pietra, canali, vasche.

Santa Fiora

Santa Flora, martire a Roma con la compagna Lucilla, è all’origine del fiume Fiora e del borgo. Già nel IX secolo compare il toponimo di Santa Fiora in una pergamena del 27 giugno 833, riportata da P.Presutti nel suo inventario del 1876 dei documenti dell’archivio Sforza-Cesarini… “in cui viene stabilita una enfiteusi pel monastero del Monte Amiata nello Stato di S.Fiora”. Un altro documento datato 890, di controversa interpretazione – registra lo stesso toponimo “terra Sancte Flore” tra i confini di alcuni possedimenti dell’Abbazia di San Salvatore.

Santa Fiora è ricordata come villa con oltre cento poderi nel 1084 e come castello nel 1141, detto di Santa Flore. Nel 1164 l’Imperatore Federico I Barbarossa concesse al conte Ildebrando Settimo Novello il privilegio di battere moneta “il Provisino degli Aldobrandeschi”. L’atto fu siglato a Pavia il 10 agosto 1164 e l’imperatore Enrico VI confermò tale privilegio a Ildebrandino VIII suo figlio. I provisini traevano il loro nome dalla cittadina francese di Provins. In una delle due facce della moneta era scritto abbreviato comes palatinus aldobrandinus, nel rovescio sancta flora.
A partire dal maggio del 1251 il conte Ildebrandino Aldobrandeschi di Santa Fiora comincia ad instaurare rapporti di amicizia e alleanza con la Repubblica di Siena. Nel 1260 Santa Fiora affiancò l’esercito ghibellino senese con più di 1000 soldati nella battaglia di Montaperti contro la guelfa Firenze. La cronaca senese anonima elogia Ildebrandino per il coraggio dimostrato in battaglia.
I rapporti con Siena negli anni immediatamente successivi alla battaglia di Montaperti mutarono però radicalmente. Infatti, a seguito della battaglia di Tagliacozzo del 23 agosto 1268, che vide la sconfitta di Corradino di Svevia e dei suoi alleati i conti Aldobrandeschi di Santa Fiora da parte di Carlo D’Angiò, Siena ritrattò l’alleanza conclusa con Santa Fiora schierandosi dalla parte guelfa. Da quel momento in poi i conti Aldobrandeschi di Santa Fiora e Siena furono spesso in lotta tra di loro.
Dominio storico dei conti Aldobrandeschi, fu sede della contea assegnata ad Ildebrandino di Bonifacio nel 1274, quando il territorio aldobrandesco fu diviso nei due rami di Santa Fiora e Sovana: l’area della contea di Santa Fiora comprendeva anche i territori di Arcidosso, Castel del Piano, Roccastrada, Castiglione d’Orcia, Semproniano, Selvena Magliano e Scansano.
Nel corso del XIII secolo, Santa Fiora divenne uno dei centri più importanti della Toscana meridionale, fulcro della resistenza ghibellina al governo di Siena. “Tra il 1256 ed il 1297 Santa Fiora rinnova con maggiore forza il suo ruolo di capitale, come residenza di Ildebrandino XI e dei suoi figli, capostipiti del nuovo ramo comitale autonomo”.
Celebre è il verso «e vedrai Santafior com’è oscura» del VI canto del Purgatorio, dove la località è citata da Dante proprio per la sua appartenenza ghibellina.
“Nel corso del XIV secolo la contea aveva perso il suo splendore e risultava composta da Santa Fiora Castell’Azzara e Scansano. Santa Fiora riuscì comunque a non cadere sotto la dominazione senese perché il conte Aldobrandeschi sposò una Piccolomini, da cui ebbe un figlio Guido, ultimo discendente della stirpe, che proseguì la politica patrimoniale paterna sposando una nobil donna senese appartenente alla famiglia Salimbeni.”
Nel 1438, a causa di una pestilenza, morirono sia Guido sia suo figlio ed unico erede maschio Federico; rimasero le tre figlie Cecilia, Giovanna e Gabriella. La mancanza di una discendenza maschile alimentò le mire di Siena ad incorporare il territorio della contea.
Con la fine degli Aldobrandeschi, nel 1439 il territorio della Contea passò alla famiglia Sforza in virtù del matrimonio tra Cecilia Aldobrandeschi, figlia primogenita di Guido ultimo conte della casata, e Bosio I° Sforza, nato a Montegiovi da Muzio Attendolo Sforza e dalla nobildonna senese Antonia Salimbeni. Guido, figlio di Bosio I° e Cecilia, nipote quindi di Francesco Sforza Signore di Milano, nacque a Santa Fiora il 20 febbraio 1445 e governò la Contea tentando di riportarla agli antichi fasti. Impreziosì la città con opere d’arte di grande valore, come le terracotte di Andrea e Luca della Robbia nella Pieve delle Sante Flora e Lucilla; fece costruire eleganti palazzi nobiliari e riadattò la Peschiera, un bacino idrico già utilizzato dagli Aldobrandeschi come vivaio di trote, modificandone e ampliando l’area interna ad uso giardino e parco. Nella Peschiera ospitò nel 1462 papa Pio II Piccolomini, rinsaldando i già buoni rapporti con il Papato. Guido proseguì la saggia politica di alleanze matrimoniali intrapresa dai suoi avi sposando Francesca Farnese, nipote di Alessandro Farnese, futuro Papa Paolo III. Il Conte Guido Sforza concesse ai suoi sudditi nel 1480 lo “Statuto della terra di Santa Fiora e suo stato” e difese la Contea dal tentativo di invasione delle truppe del duca Cesare Borgia, detto Il Valentino. Guido Sforza entrò nella leggenda e nel folclore locale per aver ucciso un “drago” che infestava quei territori, il cui teschio è oggi conservato nel convento della Selva.
Federico Sforza, il figlio di Guido, sposò Bartolomea Orsini e prima di morire nel 1517, lasciò un atto con cui disponeva il vincolo di primogenitura per la Contea santafiorese, che non poteva essere suddivisa tra i figli, ma doveva essere interamente ereditata dal primogenito Bosio II°. Questi, a sua volta, continuando la politica matrimoniale della famiglia, sposò Costanza Farnese, figlia prediletta del Papa Paolo III°. Da lei ebbe 10 figli, tra i quali il cardinale Guido Ascanio, che ricevette dal Papa Pio IV° il feudo di Onano, Alessandro, anch’egli cardinale, che costruì la villa della Sforzesca e Mario I°,a cui si deve, insieme alla moglie Fulvia Conti, la costruzione del Palazzo Sforza di Santa Fiora, intorno al 1552, opera che verrà poi portata a termine dal nipote Alessandro nel 1596. Entrambi arricchirono il Palazzo con due cicli di splendidi affreschi, ma soprattutto quello di Alessandro riveste grande importanza.
Alessandro, che nel 1585 era diventato anche Duca di Segni, paese eretto a Ducato per volontà del Papa Sisto V°, aveva sposato nel 1592 Eleonora Orsini, nipote di Maria de Medici regina di Francia e e di Ferdinando de Medici Granduca di Toscana e aveva stretto rapporti strettissimi con Enrico IV° e con la Francia. Nel 1620 acquistò una lussuosa abitazione al Quirinale, di fronte al palazzo del cardinale Scipione Borghese, che aveva commissionato a Guido Reni la pittura l’Aurora, con il carro del dio Apollo-Sole, circondato dalle Ore. Alessandro fece affrescare da autore ignoto una stanza del palazzo di Santa Fiora con lo stesso motivo, facendo però aggiungere nella parete contrapposta la dea Diana-Notte, che traina il carro guidato da uccelli notturni. In un’altra stanza fece affrescare il ciclo delle quattro stagioni, unite da un girotondo di putti nudi e giocosi.
Suo figlio Mario II° sposò nel 1612 Renata di Lorena. Le nozze furono celebrate dal Papa Paolo V°, che aveva elevato a Ducato Onano, pertanto Mario II° poté assumere il titolo di Duca e tramandarlo ai suoi discendenti. Nel 1632 Ferdinando II° de Medici acquistò la terra di Santa Fiora dal Conte Duca Mario II° per 466.000 scudi, trattenendone 218.300 per l’infeudazione. Così da tale data i Conti di Santa Fiora divennero feudatari dei Granduchi di Toscana, mantenendo tuttavia ampia autonomia per la Contea fino alle riforme del Granduca Pietro Leopoldo.
Nel 1674 a seguito del matrimonio tra Federico Sforza di Santa Fiora, primo Duca di Segni e Livia Cesarini, ultima erede delle famiglie Cesarini, Savelli, Peretti, la famiglia cambiò nome in Sforza-Cesarini.
Santa Fiora conobbe una certa ripresa economica tra il XIX e il XX secolo, quando si affermò importante centro minerario per l’escavazione del cinabro, venendo raggiunta da numerosi lavoratori da ogni parte della Toscana.
Oggi Santa Fiora, dopo la chiusura delle miniere, è un’importante meta turistica del Monte Amiata, particolarmente ricca di tradizioni che si sono mantenute fino ad oggi a testimonianza di un grandioso passato quale antica capitale di questo versante della montagna.

Sorano

Poco distante sorge la città di Sorano. Anche qui la storia è il pilastro portante del paese. Lì vicino sorge un’affascinante area archeologica unita a un parco tutto da scoprire: la Città del Tufo, dominato da Vie Cave e necropoli. Anche la città, posizionata su un’antica rocca, si presta a una bellissima visita. Se alloggerai in questo delizioso borgo etrusco, dovrai assolutamente visitare Fortezza Orsini, il Palazzo Comitale e la Chiesa di San Nicolò.

Suvereto

Tra le due città toscane non è mai corso buon sangue ma ciò che hanno in comune è l’affascinante offerta turistica. Nella zona di Livorno, ad esempio, sorge Suvereto, uno dei borghi più belli non soltanto della Toscana ma di tutta l’Italia. Si tratta di un centro medievale costruito all’interno della Val di Cornia. Un delizioso paesino arroccato che ti incanterà con la Rocca Aldobrandesca, l’ex Convento di San Francesco e la Pieve altomedievale di San Giusto.

Volterra

Anche Pisa può vantare di possedere un magico borgo che primeggia con tutti gli altri sparsi per il territorio italiano. Volterra offre un viaggio storico che parte dall’epoca etrusca, passa per quella romana, fino ad arrivare al Medioevo, con decine di monumenti che meritano di essere scoperti e visitati. Un luogo perfetto per passare una vacanza immerso nella storia e nella cultura. Questo borgo è piuttosto conosciuto ed è un concentrato di storia con pochi eguali. Dagli Etruschi ai nostri giorni, passando per l’ascesa di Roma, il Medioevo e il Rinascimento, ogni epoca ha lasciato un segno, spesso grandioso, sulla città. Le mura e le porte, come Porta dell’Arco, con la sua simbologia misteriosa, sono tutte da ammirare.

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