Legge 2015 del 2017 Norma regolante i distretti biologici

La legge 2015/2017 è attualmente l’unica norma nazionale che regola i distretti biologici, in attesa dell’approvazione definitiva del disegno di legge 988/2018 recante “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico”, per il momento approvata in Commissione agricoltura in Senato (Gennaio 2021) ma ancora da votare alle Camere per l’approvazione definitiva.

Il disegno di legge all’articolo 13 specifica ulteriormente le caratteristiche dei distretti biologici, definiti come sistemi produttivi locali, anche di carattere interprovinciale o interregionale, a spiccata vocazione agricola nei quali siano significativi:

  • la coltivazione, l’allevamento, la trasformazione e la preparazione alimentare di prodotti biologici conformemente alla normativa vigente in materia;
  • la produzione primaria biologica che insiste in un territorio sovracomunale.

Come si vede, il richiamo alla “significatività” delle produzioni biologiche locali reintroduce un criterio legato alla concentrazione di agricoltura biologica, anche se il medesimo disegno di legge stabilisce che i requisiti e le condizioni per la costituzione dei distretti biologici saranno disciplinati in Conferenza Stato-Regioni.

Secondo lo stesso, inoltre, i distretti biologici si devono caratterizzare per l’integrazione con le altre attività economiche e per la qualità ambientale del territorio e fissa alcune regole per il funzionamento del biodistretto, a partire dall’iter per il suo riconoscimento, definendo i soggetti che possono parteciparvi, il ruolo delle amministrazioni comunali e le funzioni del consiglio direttivo.

In particolare, l’articolo 13 stabilisce che il biodistretto ha le seguenti funzioni:

  • a. promuovere la conversione alla produzione biologica e incentivare l’uso sostenibile delle risorse naturali e locali nei processi produttivi agricoli, nonché garantire la tutela degli ecosistemi, sostenendo la progettazione e l’innovazione al servizio di un’economia circolare;
  • b. stimolare e favorire l’approccio territoriale alla conversione e al mantenimento della produzione biologica, anche al di fuori dei confini amministrativi, promuovendo la coesione e la partecipazione di tutti i soggetti economici e sociali con l’obiettivo di perseguire uno sviluppo attento alla conservazione delle risorse, impiegando le stesse nei processi produttivi in modo da salvaguardare l’ambiente, la salute e le diversità locali;
  • c. semplificare, per i produttori biologici operanti nel distretto, l’applicazione delle norme di certificazione biologica e delle norme di certificazione ambientale e territoriale previste dalla normativa vigente;
  • d. favorire lo sviluppo, la valorizzazione e la promozione dei processi di preparazione, di trasformazione e di commercializzazione dei prodotti biologici;
  • e. promuovere e sostenere le attività multifunzionali collegate alla produzione biologica, quali la somministrazione di cibi biologici nella ristorazione pubblica e collettiva, la vendita diretta di prodotti biologici, l’attività agrituristica e di pescaturismo, il turismo rurale, l’agricoltura sociale, le azioni finalizzate alla tutela, alla valorizzazione e alla conservazione della biodiversità agricola e naturale, nonché la riduzione dell’uso della plastica;
  • f. promuovere una maggiore diffusione e valorizzazione a livello locale dei prodotti biologici;
  • g. promuovere e realizzare progetti di ricerca partecipata con le aziende e la diffusione delle pratiche innovative.

Ai distretti biologici è infine affidata la promozione della costituzione di gruppi di operatori, sulla base di quanto previsto dall’articolo 36 del regolamento (UE) 2018/848 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, al fine di realizzare forme di certificazione di gruppo.

Ancora non è possibile sapere se il requisito della “significatività” delle produzioni biologiche troverà, nei successivi decreti attuativi della legge e nelle sue eventuali declinazioni regionali, un’applicazione più stringente, che potrebbe richiedere ai biodistretti senza nessun tipo di riconoscimento di mettere in atto azioni correttive per rispondere ai requisiti di legge, selezionando quindi le esperienze più strutturate.

L’emanazione del nuovo regolamento europeo sul biologico (Reg UE 848/2018) e della comunicazione (COM(2019) 640 final) sul Green Deal europeo e, a livello nazionale, l’attuazione del D.M. 7775 del 22/07/2019 recante i “criteri le modalità e le procedure per l’attuazione degli interventi di cui all’art.1 comma 499 della legge 27 dicembre 2017 n.205 (Distretti del cibo)”, nonché le attese generate dalle proposte per la nuova PAC e dalla prossima legge sull’agricoltura biologica hanno generato, da un lato, il moltiplicarsi delle esperienze (sono 13 i biodistretti costituiti dal 2019 ad oggi) e, dall’altro, un clima di attesa che, nel caso delle esperienze meno organizzate, ha comportato una battuta di arresto del processo di strutturazione dei biodistretti, in attesa di riorganizzare la strategia di sviluppo secondo le novità normative.

Per questo è estremamente complicato arrivare a un censimento definitivo delle esperienze distrettuali in atto, in quanto molti biodistretti non sono altro che associazioni semplici che, pur formalmente costituite, non incidono in alcun modo sul territorio.

Di alcuni, per esempio, non è stato possibile reperire nessuna informazione oltre all’atto formale di costituzione. Allo stesso modo, il numero di comuni interessati dal biodistretto, in alcuni casi, è stato desunto da fonti secondarie (comunicati stampa, sito di aiab.it), che spesso si riferiscono alla mera copertura geografica senza specificare quali Amministrazioni hanno effettivamente aderito.

Tuttavia, una stima delle superfici interessate da queste realtà mostra quanto significativa sia la loro incidenza sul territorio italiano: oltre l’11% del suolo nazionale è ormai interessato da un biodistretto. Si tratta quindi di un fenomeno rilevante, per cui è necessario che un tale patrimonio di esperienze non vada disperso. Non bisogna aspettare, quindi, la selezione “passiva” che inevitabilmente i cambiamenti nelle normative e nelle politiche produrranno; occorre anzi supportare i biodistretti nella loro riorganizzazione, per esempio valorizzandone il ruolo all’interno di esperienze di partenariati locali più forti, come le Strategie di Sviluppo Locale e le Aree Interne, o individuando gli opportuni strumenti normativi e di politica, a livello sia nazionale sia locale, che ne supportino l’adattamento alle mutate condizioni di contesto.

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