Quando si esaminano lo stato, i problemi e il futuro dell’ambiente italiano, non si può fare a meno di notare che non c’è più una sola Italia, ma ce ne sono almeno due.
Una è l’Italia delle pianure, delle coste e dei fondovalle, che copre circa un quarto del nostro territorio.
L’altra è quella delle colline e delle montagne, che copre i restanti tre quarti.
La prima Italia è quella nella quale vive buona parte della popolazione, si concentra il 75% delle aree costruite, la stragrande maggioranza delle attività produttive e la quasi totalità dell’agricoltura e dell’allevamento intensivi. Qui si concentrano anche consumo di suolo, distruzione e frammentazione degli habitat naturali, inquinamento, crisi della biodiversità. Non c’è quasi indicatore ambientale che qui non mostri un andamento negativo e situazioni di criticità.
La seconda Italia è quella delle aree interne dove il popolamento è limitato e sparso, dove non è in fase di abbandono, sempre meno utilizzata da attività produttive di qualsiasi tipo, e dove i boschi si stanno riespandendo rapidamente, facendo dell’Italia, con quasi il 40% di superficie boscata, uno dei paesi più verdi d’Europa. Qui si concentrano non solo i boschi ma anche la biodiversità, le aree protette, i processi di ricostituzione del capitale naturale.
Questa divaricazione delle dinamiche ambientali è il risultato di profondi cambiamenti nell’uso del territorio, riflessi di altrettanti mutamenti nella struttura economica del paese. Circa i tre quarti delle variazioni di uso del suolo avvenuti in Italia tra il 1960 e il 2018 sono dovuti alla perdita di aree agricole, nella “prima Italia” a vantaggio dell’urbanizzazione, nella “seconda” per abbandono e rinaturalizzazione.
Ma se, nel trentennio 1960-1990, lo scambio fra aree agricole e aree naturali rappresentava più dell’80% delle trasformazioni, dopo il 1990 oltre la metà dei cambiamenti di uso del suolo sono dovuti all’urbanizzazione. Il suolo agricolo, che copre circa il 50% del territorio nazionale, è in continua contrazione. Da una parte a causa dell’aumento delle aree artificiali e del consumo di suolo, in particolare nelle pianure e lungo le coste e i fondovalle, dall’altra a causa dell’abbandono delle terre e del recupero degli ambienti naturali, in particolare nelle aree interne montane e collinari.
La grande metamorfosi del paesaggio italiano che è avvenuta negli ultimi decenni, e continua oggi in forme diverse, è il risultato di un equilibrio complesso, non sempre rispettato per mancanza di una visione organica e di un’adeguata pianificazione del territorio, tra le esigenze della società e il rispetto e la manutenzione di un territorio che rappresenta un enorme patrimonio storico, culturale, sociale, economico e ambientale.
Così, accanto ad aree ormai sovrasfruttate dove si concentrano i principali insediamenti, le infrastrutture e l’agricoltura intensiva, se ne trovano altre totalmente trascurate, soggette a fenomeni di spopolamento e di abbandono delle colture e del territorio. Come scriveva Antonio Cederna, dagli anni ’50 si è progressivamente “degradato quel paesaggio di cui per generazioni siamo stati artefici, distruggendo l’identità culturale tra fondale e attore” che aveva portato al mosaico territoriale che generazioni di viaggiatori di tutto il mondo hanno ammirato. Oggi siamo chiamati a “raddrizzare” le storture di una rapida modernizzazione nella “prima Italia”, ma anche, nella “seconda Italia”, a cogliere l’opportunità di ricostituire parte del capitale naturale perduto nel corso della nostra lunga storia.
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