Favetta di Aquino PAT Lazio

Prodotto Agroalimentare Tradizionale del LAZIO

La pianta della Favetta di Aquino si caratterizza per uno sviluppo determinato con un’altezza media di 165 cm e foglie di colore verde medio. Il racemo floreale porta in media 6 fiori, ognuno lungo circa 6,5 cm, con presenza di chiazze di colore nero e stendardo, con una piccola chiazza di melanina. Il baccello è eretto, lungo mediamente 8,9 cm e largo 1,4 cm, privo di curvatura di colore verde medio e con un numero basso di ovuli (3-4). Il seme ha forma ellittica sia in senso trasversale che longitudinale, di colore verde a maturità cerosa, beige con pigmentazione nera dell’ilo a maturazione secca. 10 semi pesano in media 8-12 grammi.

METODO DI PRODUZIONE

Nel mese di agosto si procede con l’operazione di aratura del terreno. Successivamente, a metà ottobre, viene fatta una erpicatura al fine di amminutare e predisporre il terreno per la semina che viene eseguita a spaglio o con seminatrice nel mese di novembre. Si impiega circa 2,20-2,30 qli/ha di seme. Non vengono efettuate né operazioni di concimazione né di lotta alle malerbe e/o patogeni. La raccolta viene fatta nel mese di giugno/luglio. La resa per ettaro è di circa 50 quintali di prodotto. Il prodotto viene stoccato in locali asciutti e ventilati.

CENNI STORICI

Ad Aquino, il 2 novembre di ogni anno si svolge nella piazza di San Tommaso, una manifestazione che richiama numerose persone attratte dalla storia dell’evento. Il rito ha origini antiche e risale ad oltre 200 anni quando un’antica famiglia di Aquino i Pelagalli, preparava nella notte tra il 1 ed il 2 novembre, una minestra a base di fave. In merito al tempo trascorso, si riportano le riflessioni di Don Battista Colafrancesco, parroco di Aquino per molti anni: “Questa tradizione, purtroppo è scomparsa ed è durata anni ed anni: forse cento, forse duecento anni. Nessuno lo può dire; neppure i Pelagalli che di questa tradizione sono stati gli iniziatori!

Essi hanno sempre cotto le fave all’alba del giorno dei morti poiché così hanno visto fare dai loro genitori e dai loro nonni. Le fave dei Pelagalli sono entrate nelle nostre case e tutti ne abbiamo mangiato. Nessuno si sentiva offeso da quella scodella, nessuno si sentiva umiliato: al contrario, restava deluso chi, per un motivo o un altro, non riusciva ad averle”. A cominciare dall’estate precedente, i Pelagalli erano soliti “accantonare” almeno un paio di tomoli di fave (corrispondente a circa 80-90 chilogrammi del prodotto) ed altrettanti di granoturco. La fava impiegata era in realtà favino (più comunemente detta favetta), ossia quella che normalmente in Ciociaria è adoperata per il sovescio del terreno. Il loro accantonamento dall’estate precedente segnava realmente l’impegno per un evento così importante e sentito dalla famiglia. Il periodo precedente al 2 di novembre rappresentava, invece, il vero momento importante della manifestazione.

Per prima cosa si poneva estrema cura nella selezione delle fave così da scartare quelle difettate, parzialmente rovinate e piccole pietruzze, dal momento che il disfare le fave allora avveniva solo manualmente. Si proseguiva, poi, con il lavaggio delle stesse che, in quanto secche, venivano tenute in acqua anche per più giorni in appositi grandi contenitori, afnché si ammorbidissero il più possibile per favorirne la successiva cottura.

Accanto a questa iniziativa, vi era la preparazione del pane nella consueta forma di pagnotte non eccessivamente grandi, che veniva cotto nel forno posto in un locale dello stesso cortile. Ma era la notte fra il 1 ed il 2 novembre quella in cui vi era il maggior fervore nell’organizzazione e nel far sì che tutto fosse pronto ai primi bagliori dell’alba. La tradizione delle “Fave dei Morti”, oggi è stata ripresa ad Aquino dall’Associazione culturale “La Torre”. Le fave vengono cotte presso l’abitazione di un aquinate, e, successivamente, trasferite mediante l’uso di grandi tegami nel luogo in cui si svolge l’evento.

Territorio di produzione

Aquino (FR)

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