Convito in casa di Levi del Veronese

UNA VISITA AL MUSEO:  Gallerie Accademia di Venezia ROMA

Il dipinto fu commissionato a Veronese dai religiosi Domenicani per il refettorio del convento dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia. Doveva sostituire il dipinto di Tiziano andato distrutto nell’incendio del 1571 e il tema, come per il dipinto precedente, doveva essere quello dell’Ultima Cena di Cristo. L’incarico gli fu assegnato da fra’ Andrea de’ Buoni che però poteva offrire un compenso decisamente insufficiente per un’opera di tali dimensioni. A seguito delle insistenti preghiere del frate Veronese accettò «spinto più dal desio della gloria che dell’utile».

L’autore affrontò tale tematica con il suo stile mondano e festoso, già sperimentato a partire dalle Nozze di Cana del 1563. Il fatto che in questo caso il tema trattasse dell’istituzione del sacramento dell’eucaristia mise in allarme il priore del convento. Il Veronese dovette così subire un processo presso il Tribunale dell’Inquisizione di Venezia. La vicenda si concluse con la decisione di riferire il dipinto a un soggetto diverso, il Convito in casa Levi, e con questo “titolo” rimase sulla parete di fondo del refettorio.Francesco Guardi, Papa Pio VI si commiata dal Doge nel refettorio del convento di Santi Giovanni e Paolo, 1782, Cleveland Museum of Art. Unica rappresentazione del dipinto di Veronese nella collocazione originale, comunque dopo il restauro di fine Seicento,

Il telero fu eseguito da Paolo Veronese per il refettorio del convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo in sostituzione di una tela di analogo soggetto di Tiziano bruciata in un incendio. Ultima di una serie di fortunate “Cene”, dipinte dal pittore a partire dagli anni cinquanta del Cinquecento, l’opera evidenzia gli straordinari raggiungimenti artistici di Veronese, qui capace di far coesistere sapientemente elementi di retorica teatralità con movimentati momenti di frizzante convivialità in una cornice architettonica monumentale.

L’opera è anche celebre per essere stata al centro di un famoso episodio di “censura” artistica da parte del Sant’Uffizio che accusò il pittore di eresia per aver trattato senza il giusto decoro il tema dell’Ultima Cena, trasformandola in un banchetto e arricchendola di presenze inconsuete. In particolare, gli inquisitori interrogarono il pittore sulla scelta di inserire figure come il servo che perde sangue dal naso, il buffone nano con il pappagallo e persino alcuni alabardieri “armati alla tedesca”. In sua difesa Veronese ribadì, con ostentata ingenuità, il diritto del pittore ad usare la fantasia e a porre figure di “ornamento”, prendendosi la stessa licenza che è concessa ai poeti e ai “matti”, stando tuttavia attento a porre tutte le figure più fantasiose all’esterno dello spazio occupato da Cristo.

Obbligato comunque ad emendare in tre mesi gli “errori” contenuti nel dipinto, di fatto già ultimato, il pittore optò più semplicemente per modificarne il soggetto, trasformando quella che doveva essere una Ultima Cena, in un Convito a casa di Levi, ovvero proprio in una scena di banchetto, esplicitando in primo piano il riferimento al quinto capitolo del vangelo di Luca.

Il refettorio dei frati fu nuovamente distrutto da un incendio nel 1697. Per salvarla allontanandola dalle fiamme, la tela fu frettolosamente tagliata in tre pezzi e arrotolata. Probabilmente a questa vicenda sono da riferirsi alcune screpolature, piccole ma frequenti, della superficie pittorica oltre alla perdita della trabeazione sopra gli archi e di una fascia più sottile in basso, a continuazione del pavimento.

Le parti ora mancanti sono visibili per esempio nell’incisione di Jan Saenredam che è anteriore al 1607. L’anno successivo all’incendio il dipinto fu restaurato ma lasciato tripartito e anzi i margini delle tre porzioni ripiegate per fissarle ai nuovi telai.

FONTE @Gallerie Accademia di Venezia

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