Atalanta e Ippomene di Guido Reni nel Museo di Capodimonte a Napoli

La tela (sia la versione a Madrid che a Napoli) rappresenta il mito di Atalanta, da Le Metamorfosi di Ovidio, ninfa la cui imbattibile capacità nella corsa fu sconfitta solo da Ippomene tramite uno stratagemma ordito da Afrodite. Atalanta è infatti una donna avversa al matrimonio, pronta a sposarsi solo con colui che l’avrebbe battuta in una gara di corsa. I suoi spasimanti che vengono di volta in volta sconfitti pagheranno la posta in gioco con la morte, così Ippomene, con l’aiuto di Afrodite, che gli ha fornito i pomi d’oro, durante la corsa getta gli stessi nel giardino delle Esperidi, allorché Atalanta una volta che si china per raccoglierli, viene così sorpassata perdendo la gara.

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Ritratto Innocenzo X di Francis BACON

Bacon vuole arrivare dove nessuno è mai arrivato. Vuole dipingere il grido interiore del papa per far emergere la verità, intesa come uno spazio interiore da contrapporre ai luoghi esteriori di falsità della società occidentale a lui contemporanea. È tutta una questione di rappresentazione o apparenza. Egli vuole dissacrare e umanizzare l’autorità del papa interrogando a fondo il potere e sostituirsi al suo posto per svelarlo meglio: «il papa è unico. Essere il papa lo mette in una posizione unica e così, come in certe grandi tragedie è come se fosse issato su un balbacchino

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Eretteo e le sue cariatidi

A sud si sviluppa la loggia delle Cariatidi che proteggono e ornano la tomba del re Cecrope. In realtà quelle che oggi si vedono sono copie perché le originali sono conservate all’interno del Museo dell’Acropoli per preservale dal degrado. Inoltre, originariamente queste erano sei: una di esse venne prelevata da Lord Elgin nel 1801 e trasportata in Inghilterra dove ancora oggi la si può vedere al British Museum di Londra.

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Cronide di Capo Artemisio

La statua rappresenta una figura maschile nuda protesa probabilmente nel lancio di un fulmine in avanti: guardando il busto frontalmente, le gambe sono saldamente poggiate a terra e ruotate verso sinistra. Il peso del corpo è sulla gamba sinistra e con quella destra, invece, cerca di darsi la spinta. Le braccia sono entrambe distese all’altezza delle spalle e il volto è ruotato sempre verso sinistra fissando un obiettivo. Il braccio sinistro è nell’atto di prendere la mira e quello destro è teso indietro, ma non è chiaro cosa la statua dovesse tenere nella mano destra, forse un fulmine oppure un tridente (si tratterebbe quindi di una figura di Zeus o, rispettivamente, di Poseidone, entrambi figli di Crono, da cui il nome Cronide), o qualcos’altro.

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I bronzi di Riace

I Bronzi di Riace ripescati nelle acque di Riace nell’agosto del 1972 in origine erano cinque e non due. Facevano parte di un gruppo statuario che rappresentava il momento subito precedente al duello fratricida fra Eteocle e Polinice, fratelli di Antigone, del mito dei Sette a Tebe collegato con quello di Edipo. E’ la la nuova ipotesi sull’identità dei Bronzi, noti come A e B e ritrovati 48 anni fa, elaborata da Daniele Castrizio, professore ordinario di Numismatica greca e romana all’Università di Messina e membro del comitato scientifico del MArRC, il Museo Archeologico di Reggio Calabria dove le due statue sono esposte al pubblico.

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La Nike di Samotracia al Museo del Louvre

Scolpita nel pregiato marmo pario, la dea NIKE di Samotracia posa con leggerezza il piede destro sulla nave, mentre per il fitto battere delle ali, che frenano l’impeto del volo, il petto si protende in avanti e la gamba sinistra rimane indietro. Le braccia sono perdute, ma alcuni frammenti delle mani e dell’attaccatura delle spalle mostrano che il braccio destro era abbassato, a reggere probabilmente il pennone appoggiato alla stessa spalla, mentre il braccio sinistro era sollevato, con la mano aperta a compiere, secondo Marianne Hamiaux, un gesto di saluto, oppure a reggere una corona. La volontà dell’autore della Nike ha esasperato tutto ciò che può suggerire il movimento e la velocità.

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