Caciotta caprina PAT

Prodotto Agroalimentare Tradizionale del Friuli Venezia Giulia

Formaggio caprino a pasta semidura.

Caciotta Caprina PAT

Forma cilindrica a scalzo convesso a facce piane, formelle dell’altezza di circa 6/8 cm e del diametro di circa 12/15 cm, peso di circa 800/1200 g.

Sono possibili varie denominazioni: caciotta caprina, caciotta di capra, formaggio caprino classico, formadiele, formaele, formajele, formael, formadeut di cjavre, jama classico, caprino delle Carnia o vecjo di cjavre quando destinato alla stagionatura.

Metodo di lavorazione, conservazione e stagionatura

Questo formaggio si ottiene dalla lavorazione di latte caprino crudo o termizzato con l’aggiunta di fermenti preferibilmente selezionati in azienda oppure con lattoinnesto. Dopo la coagulazione, ottenuta in 30/40 minuti alla temperatura di 34-35°C, la cagliata viene tagliata in cubettoni di 5/10 cm di lato, viene fatta riposare per una decina di minuti quindi sminuzzata con la lira alla dimensione di nocciola; frequentemente si procede ad elevare la temperatura sino a 40-42°C per ottenere un prodotto stagionabile per qualche settimana in più. Il prodotto viene raccolto in cestini di plastica alimentare ove riposa per alcune ore durante le quali viene saltuariamente rigirato. Le formelle così rassodate vengono salate a mano o in salamoia. Sono pronte al consumo dopo 2-3 settimane di stagionatura.

Quando il formaggio è destinato a stagionatura prolungata (fino anche a otto mesi) si applica la seguente lavorazione.

L’aggiunta del fermento viene effettuata nel latte a 38-39°C: sosta di 30 minuti (sarebbe ideale, prima dell’aggiunta del caglio, raggiungere un pH di 6,5 circa); aggiunta del caglio liquido o di capretto, alla temperatura di 38°C; formazione della cagliata in 30 minuti; rottura della cagliata alla dimensione di grano di mais o grano di riso (per la variante a più lunga stagionatura); riscaldamento lento fino a 42-43°C; estrazione della cagliata con i cestelli e pressatura; voltaggio delle forme, con rivoltamenti più frequenti nella prima ora; salatura per aspersione manuale o in salamoia. In questo caso le forme hanno in genere un diametro maggiore (15/20 cm) ed uno scalzo alto fino anche 10 cm.materiali.

Attrezzature usate per la preparazione e condizionamento

Pentolone in rame o acciaio inox con bruciatore a gas oppure caldaia polivalente, utensili vari per il mescolamento, travasi e rottura della cagliata in acciaio inox, cestelli raccolta e spurgo in plastica alimentare forata

Locali di lavorazione, conservazione e stagionatura

Sala di lavorazione in locale ben illuminato ed arieggiato costruito ed arredato a norma di legge nel piano seminterrato. Allo stesso piano la stanza di conservazione con scarsa luminosità, temperatura ed umidità costanti.prove che il prodotto esiste da almeno 25 anni

L’allevamento tradizionale della capra in Friuli-Venezia Giulia ha una tradizione secolare, il prodotto principale di questo allevamento era ed è il latte. Il latte caprino oltre che impiegato come tale, per le qualità riconosciute fin dall’antichità, veniva destinato alla caseificazione che era l’unico modo per conservarlo nel tempo. La produzione dei formaggi di puro latte di capra era però in genere limitata a livello familiare o comunque di piccole aziende, dato che il latte caprino ottenuto da animali condotti al pascolo, veniva frequentemente lavorato nelle malghe insieme al latte delle bovine.

Nel “Bullettino della Associazione Agraria Friulana” si trovano diversi riferimenti sull’allevamento caprino e sui formaggi di capra. A titolo di esempio nel volume XXXI serie VII stampato nel 1914, si trova un ampio articolo ad opera del dott. Giambattista Gaspardis dal titolo “L’allevamento della capra e della pecora nel Goriziano”; in questo articolo si dice che tutto il latte non consumato direttamente fosse destinato alla produzione di ricotte e formaggi.

In un testo del 1967 (G. Fior, M. Garzona e A. Matiz in “La capra, Flora e Fauna, I marmi dell’Alto But”) oltre alla ricotta fresca e affumicata, si trova citato come ancora prodotto nelle malghe, con metodologia simile all’omologo vaccino, anche il “montasio caprino” – a titolo di esempio, viene citata una malga sul Monte Terzo sopra Cleulis.

Non mancano inoltre testimonianze da parte di persone in grado di tramandare la loro esperienza pluridecennale. Tra queste il signor Valentino Cartelli, residente in Maniago, tutt’oggi allevatore di capre, che inizio a produrre formaggi e ricotta caprini fin da ragazzo assieme al padre, signor Leopoldo Cartelli – risale al 1952 una ricevuta dell’affitto di una malga del conte Gian Carlo Maniago.           

Questa tipologia di formaggio con la denominazione “Caprino della Carnia” è stata citata tra i principali formaggi caprini italiani nell’articolo “Produzione e trasformazione de latte di capra in Italia” di Rubino R., Cogliandro E. (1991) in “L’allevatore di Ovini e Caprini”, 8 (11), 1-5.

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